I bambini di Alemanno

martedì 20 maggio 2008

Verano, distrutta l’urna dei deportati di Mauthausen.

 L’urna che custodiva le ceneri dei deportati nel campo di sterminio
nazista di Mauthausen è stata distrutta da vandali introdottisi nel
cimitero del Verano. La denuncia del grave episodio è stata fatta dal
deputato democratico Emanuele Fiano, cui sono immediatamente seguite le
condanne del sindaco Alemanno e del presidente della Provincia Nicola
Zingaretti.

“Mani vandale e vigliacche hanno violato e distrutto – si legge in
un comunicato dell’Associazione nazionale ex deportati politici nei
campi nazisti – l’urna che, nel Memoriale dei deportati nei Lager
nazisti al Cimitero romano del Verano, custodiva le ceneri di deportati
raccolte nel Krematorium del campo di sterminio nazista di Mauthausen.
Bambini, donne, uomini sacrificati all’odio razzista, antisemita e
fascista, all’intolleranza, alla negazione dei principi fondamentali
della vita umana stessa”.

Fascisti? Nazisti? No! Nessun movente politico-ideologico. Sono stati i bambini di Alemanno, un po troppo rumorosi e vivaci di questi tempi. 

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da indymedia: analisi sulla crisi rifiuti a Napoli

Giovedì 22 Maggio, prima che venisse ufficialmente pubblicato,
abbiamo chiesto al professor Franco Ortolani, ordinario di geologia
alla Federico II ed esperto della situazione rifiuti in Campania, un
parere sul decreto governativo del governo Berlusconi. Ecco il testo
dell’intervista

Professor Ortolani lei ha fatto parte della commissione
paritetica che valutò l’idoneità del sito di Serre e già all’epoca ebbe
modo di criticare le scelte dell’allora commissario Bertolaso. Cosa
pensa della sua nomina a sottosegretario con poteri straordinari?

Io portai gli unici dati di conoscenza geologica che erano relativi a
Valle della Masseria che il commissariato non aveva quando continuava a
sostenere l’idoneità del sito. Dalle relazioni ufficiali del
commissariato si evinceva che la conoscenza geologica si basava su un
sorvolo da elicottero. Questo dai dati ufficiali. Io feci rilievi ed
evidenzia le sedi problematiche esistenti. Non solo ma la vicinanza al
rilievo delle acque che irrigano tutta la piana del Sele, dove già
adesso esistono 2 discariche (Macchia Soprana e Basso dell’Olmo a cui
si deve aggiungere quella abusiva di contrada Paraglione ndr),
era estremamente pericoloso e dannoso per l’economia perchè andava a
minare anche la credibilità della purezza dei prodotti della piana del
Sele. Dalla mozzarella agli ortaggi. Dal punto di vista della
pianificazione mettere 2 discariche regionali su un prelievo di 250
milioni di metri cubi di acqua diciamo è una follia.

Il nome di Valle della Masseria però è tornato in circolazione
Non so se è entrato in circolazione perchè collegato a Bertolaso, ma
spero si sbaglino. Macchia Soprana tra un mese è chiuso. Terzigno è a
zero e a meno che non cambino la legge 87 dello scorso anno lì deve
andare solo la frazione organica stabilizzata, quindi non vedo come
potrebbe entrare in funzione. Terzigno poi dobbiamo pensare che è in
zona di vulcanismo attivo e la legge italiana prescrive che in queste
zone non si facciano discariche perchè un’eventuale eruzione potrebbe
determinare la rottura dell’impianto e quindi provocare l’inquinamento
ambientale. Questo non lo dico io ma la legge italiana. Il problema
della salute è un problema non derogabile a meno che non si voglia
cambiare la costituzione

Adesso, con l’equiparazione delle discariche a siti
militari, i controlli esterni a quelli del governo saranno praticamente
impossibili

Finché non si elimina l’articolo 32 della costituzione deve essere
sempre tutelata la salute dei cittadini. I militari non possono andare
sopra la costituzione italiana, anzi devono rispettala e farla
rispettare. Quindi non è che con la forza si riesca a superare il
problema che riguarda la salute e la tutela delle risorse idriche che
poi noi continueremo ad usare e a bere. Non confondiamo. L’uso militare
può facilitare un’azione fattibile ma se l’azione non è fattibile, nel
rispetto delle leggi nazionali e comunitarie, l’uso della forza porta a
realizzare un impianto di tipo pericoloso e le ricadute vi saranno per
la salute dei cittadini della Campania.

Quale sarebbe la strada più giusta da intraprendere allora per un corretto ed efficace smaltimento?
Il ciclo naturale porta alla riduzione dei rifiuti, all’uso industriale
dei materiali riciclabili e all’ubicazione in discarica di un 30-40% di
scarti. Questo è il ciclo. Ma questi scarti vanno ubicati in siti che
non si determinino pericolosi. Io davanti al decreto metterei “il tutto
deve essere attuato nel rispetto delle risorse idriche e delle risorse
naturali di importanza strategica per la regione”. Poi è naturale che
deve essere garantito il rispetto dell’articolo 32 della costituzione,
che deve essere riguardato il diritto alla salute per tutti i
cittadini, non solo per quelli delle città forti. L’uso di uno
strumento speciale deve essere accompagnato da una base
tecnico-scientifica attenta. Questo consentirebbe una rapida
risoluzione dello scandalo rifiuti. Ma da esperienza fatta sin ora
l’uso della potenza si è sempre risolto in una scarsa attenzione per la
salute, l’ambiente e le risorse naturali. Spero che questa tendenza si
inverta. In passato più il potere è stato forte meno era attento a
tutelare salute e ambiente. Se ora abbiamo ancora un potere maggiore e
non si inverte quella linea potete trarre delle conclusioni.

Ritiene che fino ad ora quindi non siano stati fatti i giusti controlli?
Scienza e tecnica fin ora non sono mai state applicate. La sicurezza è
stata sempre l’ultimo parametro. Le scelte sono state fatti per altri
aspetti, per altri parametri. Naturalmente alla verifica tecnica molte
di queste scelte hanno rivelato grossi problemi.
Pensi a quanti errori sarebbero stati commessi se questo decreto fosse
stato fatto un anno fa. Pensi a Pianura, si sarebbe realizzata, Napoli
orientale (manifattura tabacchi) idem, Pignataro Maggiore, Carinola,
Difesa Grande, Forcone, Lo Uttaro. Tutte scelte fatte e sponsorizzate,
fortemente volute che causarono anche lo scontro con i cittadini. Poi
lo stesso commissario fu costretto a riconoscere che erano state un
errore e le richiuse. Con scienza tecnica e buon senso i problemi
sarebbero stati risolti da tempo. Ci vuole la volontà di risolvere i
problemi ma con questi parametri. L’uso di un potere speciale a queste
condizione avrebbe permesso di uscire dalla crisi già 5 anni fa, 10
anni fa

Ma in quali aree allora dovrebbero essere aperti i siti di stoccaggio?
Di aree geologicamente idonee ce ne sono a centinaia. Il problema è che
c’è bisogno di una pianificazione corretta dello smaltimento dei
rifiuti. Io non posso prescindere da una forte riduzione dei rifiuti.
Se io non attuo questa concertazione è chiaro che io politicamente non
sono credibile. Io non ragiono, non discuto, non pianifico. Allora la
popolazione ha visto che gli attuali detentori dei poteri democratici
come amministrazioni locali, regionali oppure dei poteri commissariali
(citando gli errori riconosciuti che abbiamo detto prima) offrono
scarsissima o nulla credibilità che l’intervento sia fatto con
correttezza, sia il migliore, sia giusto. C’è uno spazio che il potere
non può colmare. È quello della credibilità, della concertazione. Un
piano deve prevedere una possibilità di trasferire risorse e sviluppo
nelle aree in cui dovrebbero andare le discariche, e non portare
solamente le cose cattive.

Mancano insomma interventi decisivi sulla produzione dei rifiuti e si lavora invece solo sullo smaltimento
Pensiamo a parte della provincia di Napoli e a tutta quella parte della
provincia di Caserta e di Salerno che si affaccia su Agro Nocerino e
Pianura Campana. Queste sono tre le aree più fertili del mondo in cui
c’è terreno, risorse idriche in abbondanza, grande capacità dell’uso
agricolo della terra. In un’area di questo tipo è un crimine sottrarre
terreno per mettere grandi impianti. È un crimine determinare un
inquinamento. È un crimine. In questo caso io non posso allocare
materiale inquinante o impianti inquinanti. Devo per forza andare
obbligatoriamente a ridurre i rifiuti da smaltire. Ma non per una
spinta ideologica sfrenata. Non uso la parola rifiuti zero perchè può
apparire una scelta ideologica, ma io devo ridurre assolutamente i
rifiuti perchè non so dove metterli. Ed ecco quindi che, per Napoli e
per quella parte che dicevo prima, un progetto strategico che da qui ad
un anno e mezzo, due anni, portasse ad una drastica riduzione del 50-60
% sarebbe una operazione di buon senso, di conservazione della risorsa
idrica e di quella suolo. Per il futuro dobbiamo ridurre drasticamente
la quantità di rifiuti da dover smaltire perché se noi realizziamo un
inceneritore a Napoli certamente non lo costruiamo in un anno. Ci
vorranno due o tre anni. Nel frattempo io avrei anche avviato una
raccolta spinta che arrivasse al 50-60% . Il discorso va fatto sempre
nella tutela dell’ambiente dove noi viviamo. Perchè noi campiano con
l’acqua col terreno con le coltivazioni. E questo ragionamento deve
essere fatto con la partecipazione costruttiva, democratica della gente
che vive nel territorio. Il decreto così come sembra delinearsi (dico
sembra perché non lo abbiamo letto) si configura come un
commissariamento di fatto della regione e del comune di Napoli. Non è
detto e non è scritto, Ma di fatto è così.

Le decisioni non sarebbero quindi sindacabili da amministratori locali e società civile
Ma stiamo scherzando? Tutto questo per colpa di poche persone che hanno
amministrato male a scapito anche delle province in cui magari si
svolge una grande attività di differenziazione e di riciclaggio.

Un’altra proposta è quella di costruire addirittura 4
termovalorizzatori. Quello di Acerra sarà il più grande d’Europa e,
semmai entrerà in funzione, pare che se la differenziata in regione
arrivasse al 35% potrebbe essere sufficiente. Lei cosa ne pensa?

Sempre ragionando col buon senso e guardando alla tutela del territorio
è automatico arrivare ai numeri che lei dice. È come se all’esterno non
importasse niente di quello che succede in Campania, delle risorse
della Campania. Anzi se la regione va in malora è meglio.
Se il governo di questa iniziativa è al di fuori della regione e la
regione non entra in maniera costruttiva è chiaro che c’è solo in
deperimento dell’ambiente, dell’economia e dell’assetto socio economico
per il territorio regionale così commissariato.

Si parla di un partito dei no, della mancanza di proposte alternative
Negli anni novanta elaborai, insieme ad altri scienziati, una piano per
la provincia di Avellino individuando circa trenta siti. Il presidente
della provincia di allora Anzalone secretò i risultati e non si sa che
fine abbiano fatto. Questo per dire come scienza e tecnica consentano
di individuare le caratteristiche territoriali giuste e trovare
soluzioni. Se lei va a chiedere al commissariato se ha fatto una mappa
di tutti i siti potenzialmente utilizzabili in Campania voglio vedere
cosa le risponde. Noi l’abbiamo fatto con alcune tesi di laurea. In un
mese utilizzando queste metodologie che abbiamo messo appunto si
potrebbe avere il quadro di tutta la regione Campania. Poi la
metodologia qual è, è normale, banale: una commissione costituita da
esperti multidisciplinari presi tra tutte le università campane e tra
tutte le istituzioni democratiche della Campania individua sulla prima
base geologica l’approfondimento di quali aree per gli altri aspetti
possono essere idonee. Una volta così definite le aree praticamente c’è
una base conoscitiva inattaccabile. E se una istituzione dice" le
discariche possono essere messe qui, qui e qui" è una proposta
inattaccabile perchè basata su una conoscenza completa di tutta la
regione e di tutte le discipline necessarie a valutare l’area. Questo è
l’abc del governo e della pianificazione. Questo si deve fare in modo
tale che nessuno, se si oppone, può avere argomenti validi che dicano
che il sito non è idoneo. Allora veramente si potrebbe dire che si
oppongono perchè non lo vogliono nel proprio giardino. Invece oggi non
abbiamo questa base conoscitiva da parte delle istituzioni purtroppo.
Sono metodologie normali attuate anche in altre regioni. Solo chi non
vuole risolvere il problema non applica metodi corretti che consentano
di avere questa visione. Lo Stato è stato presente per 14 anni in
Campania, perchè non è che arriva adesso con questo decreto, sappiamo
bene che i commissariati sono stati emanazione dello Stato. Sono stati
nominati ogni volta, facendo riferimento alla legge di protezione
civile, dal presidente del consiglio di turno. Quindi lo Stato era
presente e ha speso, forse ha speso male.

Anche sulla questione di Valle della Masseria, lei affermò
che il sito fu scelto più per una vicinanza all’autostrada che per
altri aspetti

Si. L’altro motivo della scelta era la presenza di argilla. Allora io
feci un esempio. Immaginiamo che si debba proteggere il porto di Capri
e che si debba fare in fretta perché può arrivare l’inverno e una
mareggiata. Allora visto che le scogliere sono fatte di grossi blocchi
di roccia calcarea ed i Faraglioni sono fatti per l’appunto di roccia
calcarea, allora smantelliamo i Faraglioni ed i blocchi li utilizziamo
per fare i moli di Capri. Tanto è roccia calcarea. A me pare che i
Faraglioni siano un monumento ambientale e quindi sarebbe
improponibile. Serre, l’oasi, con la diga fatta per prelevare le acque
per irrigare tutta la pianura del Sele, sono un monumento ambientale.
Quindi lo stesso discorso facciamolo a Serre. Non è attuabile come non
è attuabile smantellare i faraglioni per fare il molo di Capri. C’è
argilla è vero, ma fa parte di un monumento ambientale. Non solo, un
monumento ambientale che regge tutta l’economia della piana del Sele.

La gestione emergenziale porta avanti se stessa
Esatto, almeno guardano i risultati, è stato questo. Può darsi anche
che la volontà ci fosse ma non sono state scelte le persone giuste.
Insomma o non sono state nominate le persone giuste o peggio ancora è
mancata la volontà di risolvere veramente questa crisi.

Ma è possibile avere i rilievi da voi effettuati?
Non li abbiamo pubblicati ma sono a disposizione delle istituzioni
perchè si tratta di una situazione estremamente delicata. Non è che li
teniamo segreti ma capirà che vista anche la militarizzazione della
questione immagini cosa sarebbe successo se avessimo pubblicato i
risultati. Ma ripeto sono a disposizione delle istituzioni.

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da rk: questo non è un paese per giovani

From: "mcsilvan_@libero.it" <mcsilvan_@libero.it>
To: "rekombinant" <rekombinant@liste.rekombinant.org>
Date: Sat, 17 May 2008 19:34:40 +0200
Subject: questo non è un paese per giovani
Pur
particolarmente refrattario ad ogni genere di commissione, mi trovo ad
analizzare dei curriculum. E s’è c’è una lettura istruttiva di
biografie personali, dove si legano mancanza di esperienza reale e
presenza di titoli, è proprio l’analisi del curriculum.
Nella nostra società l’esperienza o è una possibilità mancata o è una
realtà che deve lasciare il passo all’accumulo disordinato dei titoli.
In ogni caso, l’entrata nel mondo del lavoro precario e discontinuo
presuppone la negazione dell’esperienza in nome del protocollo
curriculare.
Esperienza che nei curriculum rientra in modo periferico nelle voci
aggiunte del tipo "dotata di forte empatia personale" o
"particolarmente propenso ai lavori di relazione con il pubblico". Allo
stesso tempo la varietà di embrioni di  differenti specializzazioni,
presenti nella maggior parte di laureati e dottori di ricerca, indica
l’enorme difficoltà a specializzarsi realmente in un definito settore
di lavoro. Si procede per tentativi, in tanti percorsi curriculari non
c’è l’itinerario irregolare di una creatività che cerca se stessa ma
solo quello dettato dalla paura.
In questo modo nè l’esperienza reale nè i tentativi di specializzazione
professionale servono per stare sul mercato: è il circolo vizioso del
lavoro professionalizzato italiano. Ci sono persone che nei curriculum
che mostrano comunque un grado di specializzazione, e di varietà di
competenze, di gran lunga maggiore della generazione dei loro genitori.
Non basterà loro per garantirsi un tipo di reddito che all’epoca dei
loro genitori sarebbe spettato ai casi di marginalità sociale rientrati
nella norma dopo anni di devianza e quindi di specializzazione mancata.
Decisamente, questo non è un paese per giovani.
Ed è una frase che mi circola tra i neuroni al momento in cui, in
qualche commissione di tesi, vedo persone abbracciare i propri genitori
all’avvenuta proclamazione di una laurea tra la disattenzione dei
commissari e il fatto che il certificato ottenuto si inflaziona sempre
più in modo simile ad un biglietto da un marco durante la repubblica di
Weimar.
Devo dire che quando mi laureai il mio professore mi mise
antropologicamente sul piede di guerra: "la tesi non è più un rito di
passaggio" disse " dopo la funzione dall’altra parte non c’è un
cambiamento di stato, praticamente c’è solo il nulla".
In questi anni se si può parlare ancora di rito di passaggio possiamo
dire che questo, nella società italiana, è invertito di segno. Il primo
antropologo che ha parlato di riti di passaggio, Van Gennep all’inizio
del ‘900, rimarcava come questo genere di rito fosse connesso alla
mutazione di status dell’iniziato, al suo acquisire nuove facoltà da
spendere in un nuovo ruolo.
Ebbene, il rito di passaggio della tesi, ma vale  anche per i
successivi riti di specializzazione, nella società italiana consegna
all’iniziato un ruolo sempre più incerto del precedente proprio per chi
ha acquisito delle facoltà maggiori  grazie al rito iniziatico. Se c’è
quindi un contributo al nichilismo delle generazioni più giovani viene
proprio dal carattere non più iniziatico, o inversamente iniziatico,
del mercato del lavoro. Il rito della professionalizzazione si compie
comunque ma a differenza del passato, termina con la riduzione ad
impotenza dell’iniziato non con un suo accrescimento delle facoltà.
Allo stesso tempo, lo stato di instabilità del mercato del lavoro, e
delle sue forme di garanzia, è talmente elevato che per molti nella
piena maturità lavorativa c’ è il rischio di un improvviso ritorno a
condizioni professionali tipiche dell’incertezza dello stato iniziatico.
Non c’è quindi da stupirsi se una società spoliticizzata come quella
italiana, incapace cioè di darsi risposte sul piano delle strutture
collettive, questa situazione di incertezza, questa riduzione
all’impotenza delle migliori energie giovanili generi il desiderio di
dispositivi espiatori.
Classicamente il rito espiatorio è di tipo mimetico, rappresenta sempre
qualcosa d’altro rispetto al soggetto scelto per la cerimonia di
espiazione. Non a caso il rito espiatorio viene analizzato a partire
dal capro che viene rivestito di differenti abiti simbolici a seconda
delle società, e dei momenti storici, che lo applicano.
E qui bisogna ricordare che i Rom e gli  zingari di oggi rappresentano
l’abito simbolico del rito espiatorio dell’instabilità del mercato del
lavoro. Nel colpire il Rom concreto, si mette in scena il rito della
distruzione simbolica dell’instabilità che permea nelle metropoli
grazie alle caratteristiche attuali del mercato del lavoro.
Visto come nomade, portatore di insicurezza e di incertezza il Rom
assume su di sè queste caratteristiche che sono anche del mercato del
lavoro. Ma l’ideologia della indiscutibilità del mercato porta a
trasferire il desiderio di riti di espiazione nei confronti di figure
concrete, come i Rom, che se uccise simbolicamente devono trascinare
con sè anche la condanna trasfigurata e sublimata dell’incertezza
generata dal mercato.
In The Origin of Language un girardiano critico come Gans descrive il
rito espiatorio come un processo in cui i partecipanti si dividono il
corpo della vittima come reliquia della crisi risolta. Impossibile non
ricordare immediatamente l’assalto dei campi Rom a Napoli dove,
successivamente al rito espiatorio delle bottiglie molotov, i
partecipanti si sono divisi i beni rimasti sul campo come a
simbolizzare proprio la risoluzione della crisi. Le stesse istituzioni,
che smembrano i campi Rom a Milano o a Roma, partecipano direttamente a
questo rito nella stessa operazione di simbolizzazione della crisi
risolta tramite l’appropriazione di elementi significativi appartenenti
al corpo della vittima (le baracche, le roulotte, gli effetti
personali).
Nella società italiana l’inversione di senso del rito di passaggio
genera quindi la necessità di riti espiatori. Che sono riti di
stabilizzazione e risoluzione delle crisi e quindi di conservazione di
una società. Decisamente un qualcosa che non è per giovani anche se le
stesse fasce giovanili sono spesso consenzienti, quando non sono
indifferenti, verso questi processi di espiazione.
Per quanto tutto questo sia raggelante non dobbiamo attenderci niente
di differente finchè la composizione sociale del lavoro è frammentata.
E in Italia ad una frammentazione sociale del lavoro caratterizzata da
una color line (tra nativi ed extracomunitari) se ne aggiunge una di
tipo generazionale, dove persino a parità di mansioni, la forza lavoro
più giovane è separata da quella di differente età.
Così tra la paura che attraversa la forza lavoro e la ricerca di
fantasmi da uccidere, ci avviamo ad un "compiuto processo di riforme"
almeno così dice il linguaggio della politica ufficiale

mcs

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Chiaiano, c’è il primo morto.

da Indymedia Napoli: Ancora una volta le donne animano i presidi e si assumono la
responsabilità della difesa di un’intera comunità. Anche ieri a
Chiaiano, donne giovani e anziane, unite resistevano alle brutali
cariche della polizia. Il ruolo di madre imposto dalla società le
vorrebbe ai fornelli, e invece queste madri si ribellano e scendono in
piazza e per curare davvero il futuro dei loro figli scendono in piazza
a resistere in prima linea. Una giovane donna, all’ ottavo mese di
gravidanza, proprio per “garantire la vita del nascituro” era in piazza
con tutte le altre a protestare, negli scontri, tra le cariche ha
abortito. Stavolta chi difende la vita e chi è l’assassino?

Dal manifesto di oggi:
[…]Proprio per questo vista dal ministero
degli Interni, quella di Chiaiano
sta diventando una «battaglia
» simbolo: «Se i no-discarica
passano lì, passano ovunque»,
spiega più di un funzionario.Quanto
accaduto venerdì, con la polizia
che carica duecento cittadini che
occupano la piazza del quartiere,
del resto è significativo. Non esistevano
esigenze di ordine pubblico
che giustificassero l’intervento degli
agenti, eppure è stato scelto di
caricare come prova di forza. Colpirne
duecento per evitare di ritrovarsene
duemila il giorno dopo.
Ma soprattutto liberare la strada
che porta alla cava dove sorgerà la
discarica, in modo da dare un segnale
forte a tutti.

 

Morto numero 2: da peace link:

Il nuovo Cpt di Torino
TORINO – Per indicare il punto esatto in cui è successo, i ragazzi
magrebini dietro alle sbarre, passandosi un telefonino di mano in mano,
spiegano: "Zona rossa, cella numero 2". Lì, ieri mattina alle 8, è stato
trovato morto Hassan Nejl, nato Casablanca il 27 marzo 1970, trattenuto da
dieci giorni al Cpt con un decreto di espulsione firmato dal questore di
Padova. "Era nel suo letto con la schiuma alla bocca – raccontano –
abbiamo urlato tutta la notte per chiamare i soccorsi, ma non è venuto
nessuno. L’hanno trattato come un cane".
[…]


Il prefetto Paolo Padoin è stato avvisato quasi subito: "I primi riscontri
hanno stabilito che quel ragazzo è morto per una malattia – spiega – forse
una polmonite. So che era stato visitato da un medico della Croce Rossa
nel primo pomeriggio di venerdì. Se ci fossero state davvero delle
omissioni di soccorso durante la notte, ma è un fatto ancora tutto da
accertare, toccherà alla magistratura chiarire eventuali responsabilità".
E’ già stata disposta l’autopsia.
[…]

Vicino a lui, fino all’ultimo, è rimasto Mohammed
Alhuiri, 25 anni, iracheno: "Per tutta la giornata di venerdì stava
malissimo. Si lamentava. Non si reggeva in piedi. Aveva la febbre alta, mi
ha persino chiesto di toccargli la fronte perché sentissi anch’io". Alle 3
è stato visitato dal medico di guardia, nell’infermeria della Croce Rossa.
"Ma forse pensavano fosse una cosa leggera o non gli hanno creduto –
racconta Alhuiri – perché gli hanno dato una medicina, se ho capito bene
un antibiotico, senza nemmeno verificare se potesse essere allergico.
Hassan era tossicodipendente, prendeva il metadone, aveva problemi, stava
ancora male. Eppure non hanno voluto più saperne di lui. L’hanno lasciato
solo. L’hanno trattato come un animale".

A mezzanotte e mezza la situazione si è aggravata. "Ho perso la voce a
furia di urlare – spiega Alhuiri – a mezzanotte e quarantacinque gridavamo
tutti. Dopo un po’ è arrivato un addetto della Croce Rossa. "Fino a domani
mattina non c’è il medico", ha spiegato. Poi se n’è andato. Hassan si è
steso sul suo letto, era caldo, stava malissimo…".

Ieri mattina suo fratello voleva parlargli. Visto che Hassan Nejl non ha
il telefono, ha chiamato al numero di cellulare di un altro immigrato
marocchino trattenuto nel Cpt. "Sono andato per passargli la chiamata e
l’ho visto – racconta – aveva gli occhi sbarrati e la bava alla bocca. Non
respirava più". L’hanno portato di nuovo in infermeria. Ma era troppo
tardi. Alle 8 di mattina il medico di guardia ha constatato il decesso.

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La gente aveva le braccia alte, quelli strappavano gli orologi per farle abbassare.

Ecco il racconto di una docente di Storia testimone oculare
degli scontri dell’altra sera davanti alla discarica di Chiaiano

"Così ho visto i poliziotti scatenati
picchiare donne e persone anziane"

"Ho avuto la netta sensazaione che tutto fosse preordinato. Una carica non motivata
La gente aveva le braccia alte, quelli strappavano gli orologi per farle abbassare"

NAPOLI
– Dalla professoressa Elisa Di Guida, docente di storia e filosofia in
un liceo di Napoli, riceviamo questa testimonianza suglia scontri di
ieri sera a Chiaiano: "Io sono nata in quella zona – ci ha raccontato
per telefono – ma non abito più lì da tempo. Però mi sento legata a
quella gente e a questa brutta vicenda. Così ieri sera ero lì e ho
visto cose terribili. Ho avuto la sensazione che tutto fosse preparato,
che la polizia abbia caricato improvvisamente senza una ragione, una
scintilla. Perciò ho deciso di provare a scrivere quello che avevo
visto".

Ecco il racconto della professoressa Di Guida

"Datemi voce e spazio perché sui giornali di domani non si leggerà
quello che è accaduto. Si leggerà che i manifestanti di Chiaiano sono
entrati in contatto con la polizia. Ma io ero lì. E la storia è
un’altra".

"Alle 20 e 20 almeno 100 uomini, tra poliziotti, carabinieri e guardie
di finanza hanno caricato la gente inerme. In prima fila non solo
uomini, ma donne di ogni età e persone anziane. Cittadini tenaci ma
civili – davanti agli occhi vedo ancora le loro mani alzate – che, nel
tratto estremo di via Santa Maria a Cubito, presidiavano un incrocio.
Tra le 19,05 e le 20,20 i due schieramenti si sono solo fronteggiati.
Poi la polizia, in tenuta antisommossa, ha iniziato a caricare. La
scena sembrava surreale: a guardarli dall’alto, i poliziotti sembravano
solo procedere in avanti. Ma chi era per strada ne ha apprezzato la
tecnica. Calci negli stinchi, colpi alle ginocchia con la parte estrema
e bassa del manganello. I migliori strappavano orologi o braccialetti.
Così, nel vano tentativo di recuperali, c’era chi abbassava le mani e
veniva trascinato a terra per i polsi. La loro avanzata non ha
risparmiato nessuno. Mi ha colpito soprattutto la violenza contro le
donne: tantissime sono state spinte a terra, graffiate, strattonate.
Dietro la plastica dei caschi, mi restano nella memoria gli occhi
indifferenti, senza battiti di ciglia dei poliziotti. Quando sono
scappata, più per la sorpresa che per la paura, trascinavano via due
giovani uomini mentre tante donne erano sull’asfalto, livide di paura e
rannicchiate. La gente urlava ma non rispondeva alla violenza, inveiva
– invece – contro i giornalisti, al sicuro sul balcone di una pizzeria,
impegnati nel fotografare".

"Chiusa ogni via di accesso, alle 21, le camionette erano già almeno
venti. Ma la gente di Chiaiano non se ne era andata. Alle 21.30, oltre
1000 persone erano ancora in strada. La storia è questa. Datemi voce e
spazio. Perché si sappia quello che è accaduto. Lo stato di polizia e
l’atmosfera violenta di questa sera somigliano troppo a quelli dei
regimi totalitaristi. Proprio quelli di cui racconto, con orrore, ai
miei studenti durante le lezioni di storia".

Elisa Di Guida

(docente di Storia e Filosofia – Napoli)

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sulle mani di Togliatti imbevute del sangue degli anarchici e dei trotzskisti…

Togliatti, gli anarchici e i trotzskisti:
sì, credo proprio che fu un uomo di Stalin…
http://liberazione.it/giornale_articolo.php?id_pagina=50169&pagina=23&versione=testuale&zoom=no&id_articolo=368202

 

Caro direttore
la
mia frase sulle mani di Togliatti imbevute del sangue degli anarchici e
dei trotzskisti ha suscitato alcune proteste. Provo a rispondere, prima
nel merito e poi nella sostanza politica.
Mi si chiede di fornire le
prove del coinvolgimento di Togliatti nel massacro degli anarchici e
dei trotzkisti russi, spagnoli e italiani ad opera dei sicari
stalinisti: e potrei rispondere ricordando che Togliatti, alla
richiesta di provare le accuse contro l’anarchico Ghezzi imprigionato
in Urss nel ’29 (e in seguito assassinato), rispose che «per noi
comunisti, la questione delle "prove" è una questione che non si pone:
è, anzi, una questione sciocca. Chiedere le prove della condanna del
Ghezzi vuol dire sostenere che ogni singolo atto del governo dei soviet
deve essere sottoposto a un controllo pubblico». Rispondo invece
ricordando che, all’indomani dell’assassinio del compagno Berneri ad
opera dei sicari del Comintern, Togliatti scriveva (senza firmarsi), in
un editoriale de "Il grido del popolo" (20 maggio 1936) che «Camillo
Berneri è stato "giustiziato" dalla Rivoluzione democratica, a cui
nessun antifascista può negare il diritto di legittima difesa», mentre
la Pravda annunciava che a Barcellona «l’epurazione dei trotzkisti e
degli anarco-sindacalisti è già iniziata, e viene condotta con la
stessa energia usata in Urss». E sull’"Internazionale comunista"
Togliatti spiegava che era necessario «epurate, radicalmente e per
sempre, dai banditi che sono penetrati nei loro ranghi per trascinarvi
direttive e parole d’ordine fasciste», dunque «liberare definitivamente
il movimento operaio internazionale dal lerciume trotzkista». A chi,
magari sulla scorta di Luciano Canfora (che almeno non si vergogna a
difendere, con Togliatti, Stalin), accampasse la congiuntura
internazionale e le "dure leggi della storia" ricordo che sin dal 1926,
tacitando Gramsci che criticava le epurazioni che si intravedevano in
Urss, Togliatti difendeva la linea stalinista. Diversi anni dopo e in
ben altro clima, così Togliatti rispondeva a Salvemini ("Rinascita",
marzo 1950) che lo accusava della morte del compagno Berneri: «vi fu la
nota rivolta barcellonese del maggio: una serie confusa di sanguinose
battaglie di strade, da casa a casa, dai tetti, ecc. Il Berneri cadde
in uno di questi scontri: ecco tutto…». Alla lettera aperta di Victor
Serge che chiedeva notizie degli antifascisti italiani scomparsi in
Urss, come pure alle lettere di Barbara Seidenfeld, la compagna di
Pietro Tresso, Togliatti non ha mai risposto. Sono vicende note, sulle
quali si possono leggere i romanzi recenti di Stefano Tassinari ("Il
vento contro", recensito giusto domenica scorsa su Queer da Antonini) e
Alessandro Bertante ("Al diavul"): tutti anticomunisti? Se invece si
vuole qualche fonte storica, che consiglio vivamente a Maselli e Curzi,
si può cominciare col volume Gulag. Storia e memoria curato per
Feltrinelli da Elena Dundovich, Francesca Gori ed Emanuele Quercetti.
Per Dundovich non solo Togliatti «evidentemente era al corrente della
tragedia complessiva», ma «l’insieme dei documenti provano in maniera
inequivocabile come, seppur non continuativamente, vi prese parte». Il
resto, per chi vuole vedere, viene da sé: Togliatti ha responsabilità
politiche, se non operative, nel massacro di una generazione di
rivoluzionari. Negare ciò equivale a sostenere l’esistenza di uno
stalinismo senza stalinisti. Ma cosa c’entrino gli stalinisti col
comunismo, io non l’ho mai capito.
Vengo al secondo punto: a che
vale oggi ricordare i crimini di Togliatti, da alcuni esaltato come
grande dirigente? A me certe esaltazioni fanno venire in mente quei bei
versi di Brecht: «Il giovane Alessandro conquistò l’India. / Lui, da
solo? / Cesare sconfisse i Galli. / Non aveva con sé neanche un
cuoco?». Togliatti fece tutto da solo? E le masse? Fu solo grazie alla
sua direzione politica che il movimento comunista crebbe nel paese? In
Spagna la risposta togliattiana allo slogan di Durruti "fare la
rivoluzione per vincere la guerra" fu "vincere la guerra per fare la
rivoluzione": una linea politica che equivale all’idea odierna che
prima si vincono le elezioni (a qualunque costo, pur di compiacere la
borghesia moderata), e poi si pensa a cambiare la società. Gli eredi di
Togliatti sono riusciti, allo stesso prezzo, a fare senza spargimento
di sangue quello che Togliatti e il Comintern fece negli anni Trenta:
liquidare la sinistra per dimostrare di essere credibili agli occhi
della borghesia e dei governi europei. Il punto è questo, credo: per
fare società, per fare moltitudine, bisogna partire dal basso e dai
movimenti reali, non dall’alto delle segreterie, delle tattiche, dei
vertici. Marx il comunismo lo pensava non come un’astuzia tattica, ma
come un movimento reale che modifica lo stato di cose esistente. Per
contro, l’astuzia politica di Togliatti e dei suoi eredi (da Ferrara a
D’Alema e Veltroni) mi ricorda il Napoleon della "Fattoria degli
animali" di Orwell che ripete saltellando «tattica, compagni, tattica».
Ma anche Orwell, come Berneri e come me, fu tacciato di anticomunismo.
Girolamo De Michele

21/05/2008

Posted in politica | Comments Off on sulle mani di Togliatti imbevute del sangue degli anarchici e dei trotzskisti…

Di passaggio…

«Che l’immigrazione clandestina divenga reato è indispensabile per il nostro Paese». Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori.

«Se rendi il reato penale non puoi espellere il clandestino fino a
quando non è stato fatto un processo. Quindi nel frattempo te lo devi
tenere
in carcere. In questo modo l’espulsione immediata non la puoi
fare
, i tempi del processo possono essere anche non immediati. Il
rischio – prosegue – è che nel giro di poco tempo le carceri siano
piene di clandestini e che il governo di centrodestra si trova di
fronte ad situazione che magari lo porta a riproporre un indulto che è
stato fortemente criticato quando lo abbiamo fatto noi. Dico che ci
vuole un pò di ragione e di buonsenso nell’affrontare il problema: non
serve lanciare parole d’ordine soltanto per fare propaganda. La lotta
alla criminalitàclandestinità è un impegno comune. Penso – conclude Fassino – che
la vera cosa su cui dobbiamo concentrare tutti gli sforzi è migliorare
i meccanismi di espulsione
» Piero Fassino

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Ancora sui Rom

Un editoriale apparso sul sito dei wu-ming. Se volete leggerlo tutto http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap22_VIIIa.htm#editoriale 

 

Terza Regola: eliminare le minoranze. Nel Paese Semplice democrazia fa rima con maggioranza.

A
seguire parte un servizio, credo girato in Romagna, credo per
dimostrare che anche i bonari comunisti d’antan non ne possono più
degli stranieri. Forse vale la pena ricordare che in provincia di
Bologna il giornale più venduto è sempre stato il Resto del Carlino, anche quando il direttore era un entusiasta della Repubblica di Salò. E l’espressione maruchèin (marocchino = meridionale) non è mai stata un complimento, da queste parti.
Intervistano un tizio che con l’aria dell’illuminista sostiene:
– Quelli che lavorano è giusto che restino. Ma i clandestini no, quelli fuori.
Milioni di italiani, di destra o di sinistra, sottoscriverebbero una
frase del genere, sentendosi più o meno nipotini di Voltaire.
Se capisco bene, l’uomo che la pronuncia è appena uscito da una
fabbrica. Lavora lì insieme a molti stranieri, in gran parte senza
permesso di soggiorno. Solo che nella sua cornice mentale clandestino
significa "senza lavoro" e non è disposto a modificarla nemmeno davanti
ai fatti. D’altra parte qualunque teoria può essere difesa dall’attacco
della realtà. Copernico rigettò il sistema tolemaico non perché non
riuscisse a spiegare nuovi fenomeni, ma perché per farlo aveva bisogno
di calcoli troppo complessi. Il problema non è la scomparsa dei fatti,
ma l’uso di un linguaggio allo stesso tempo troppo semplice e troppo
oscuro per poterli descrivere.

Quarta Regola: eliminare le informazioni. Il Paese Semplice ammette solo tautologie.

Ci sono leggi che si scrivono per sancire l’illegalità, l’arbitrio, l’assenza di diritto.
L’attuale legislazione italiana in materia di immigrazione dai paesi
extra-comunitari (promulgata da un governo di centrodestra e lasciata
tale e quale dal governo di centrosinistra) è un caso paradigmatico.
La legge Bossi-Fini stabilisce che per ottenere un permesso di
soggiorno è necessario avere un contratto di lavoro. Ma per avere un
contratto è inevitabile… venire in Italia. Ovvero entrare
clandestinamente, trovare un datore di lavoro disponibile, il quale
spedirà una formale richiesta di assunzione all’ambasciata italiana nel
paese d’origine, fingendo di non avere già in organico il lavoratore
(in nero). Il quale lavoratore dovrà poi tornare al suo paese a proprie
spese, fingere a sua volta di non essere mai entrato clandestinamente
in Italia, presentarsi all’ambasciata italiana per ottenere i documenti
e quindi rientrare in Italia da regolare.
Che l’iter sia questo lo sanno anche i sassi, ma tutti, dai legislatori
alle autorità preposte al personale diplomatico, fino ai diretti
interessati, fanno finta di niente. Nessuno affiderebbe la cura dei
propri anziani o della propria casa a un estraneo, che in teoria
dovrebbe vivere a Kiev, a Bucarest o a Manila. Vogliamo parlarci,
vederla in faccia, la persona che cambierà il pannolone a nostra nonna,
sapere qualcosa di lei, prima di assumerla, metterla in regola (ammesso
che si sia disposti a farlo). E possiamo scommettere che anche
l’impresa edile che ci ristruttura casa non ha assunto il muratore
rumeno sulla parola, scegliendolo da una lista di collocamento
internazionale.
Ci sono leggi "contro la clandestinità" che si fanno per favorire la clandestinità.
Il dipendente perfetto è quello che deve al proprio datore di lavoro la
garanzia di non essere sbattuto in un CPT, quello sottoposto al doppio
ricatto di perdere il lavoro ed essere espulso oltre frontiera.
Ci sono leggi che sembrano paradossali, ma in realtà rispondono a una
logica ferrea. Quella dell’esclusione per poter includere al minor
costo possibile. Quella del profitto spacciato per sicurezza. La stessa
logica che porta a gridare "padroni a casa nostra" mentre si appoggiano
operazioni di guerra in casa d’altri.
Quelli che per ultimi in Europa si sono sbarazzati di un regime
fascista e ne hanno ancora fresca memoria se ne sono accorti che
l’Italia sta marcendo al passo dell’oca (no, non è un refuso, marciare
è troppa fatica) e ce lo dicono in faccia. Gli spagnoli non ci vanno
certo teneri con gli immigrati, men che meno con i clandestini, ma in
Spagna non si respira l’aria pesante che asfissia il Paese Semplice,
togliendoci l’ossigeno necessario a riconoscere le cose e chiamarle con
il loro nome. Colpa dei miasmi della spazzatura, dei gas di scarico,
dell’odore di benzina bruciata.
Per onorare le promesse elettorali si è appena istituito un Commissario
straordinario ai rom. Le istituzioni si occuperanno degli zingari. Non
di cittadini italiani o stranieri, ma di un’etnia. E’ un bel salto di
qualità, un passo in avanti nella storia a ritroso di questo paese e di
questo continente. E possiamo stare certi che ci sarà sempre qualcuno
disposto a discuterne… pacatamente, serenamente.

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Emergenza rom. Chi tace è complice.

Con il termine pogrom, ci dice wikipedia, si intendono le azioni violente contro la proprietà e la vita di appartenenti a minoranze politiche, etniche o religiose.

In Italia stiamo assistendo a veri e propri pogrom
contro i "Rom". Pogrom appoggiati attivamente dall’attuale governo, dai
media televisivi e da alcuni giornali e  non avversati dall’opposizione
istituzionale che anzi spesso si adegua, lascia correre o si allinea in
qualche modo per i soliti infami e beceri calcoli politici. E si sa che
chi tace, magari occupandosi di tutt’altro, acconsente.
Dopo anni di politiche e campagne elettorali securitarie, tolleranza
zero verso immigrati clandestini, accattoni, barboni, lavavetri,
semplici diversi che disturbano la quiete e l’ordine pubblico dei
benpensanti, il risultato è sotto gli occhi di tutti ed è un miracolo
che non ci sia già scappato il morto.

Sempre wikipedia riporta la seguente frase, riferendosi ai pogrom avvenuti in Russia nei primi anni del ‘900:

Sebbene tali «spedizioni punitive» fossero accreditate come reazioni
spontanee della popolazione verso gli usi religiosi ebraici, sembra
certo che esse furono volutamente organizzate dal governo zarista per
convogliare verso l’intolleranza religiosa e l’odio etnico la protesta
di contadini e lavoratori salariati sottoposti a dure condizioni di
vita.

Non
è difficile vedere come le cose non siano cambiate più di tanto. Anzi
forse si sta facendo di più e peggio chiedendo ronde miste di
poliziotti e militari, un commissario straordinario per rom e nomadi
(tentando forse di ritornare così ai fasti delle leggi razziali
fasciste) e giustificando pubblicamente e spudoratamente le violenze
popolari – vere e proprie guerre tra poveri – contro rom e immigrati.

Bisogna che tutti prendano posizione e con forza. Chi tace è e sarà complice di questa folle ondata di violenza.

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Non c’è più spazio per crescere

di Massimo De Maio 

Apprendiamo dai mezzi d’informazione che “crescita” è la parola
chiave del discorso con il quale Silvio Berlusconi ha chiesto alla
Camera la fiducia al suo quarto governo.
Al Presidente del Consiglio vogliamo ricordare che sono già cresciuti a
dismisura gli indicatori ambientali e sociali che suggeriscono, invece,
un deciso cambio di rotta nella direzione di una riduzione drastica dei
consumi. Sono cresciuti i rifiuti urbani del 12% negli ultimi 5 anni
fino a raggiungere i 32 milioni di tonnellate/anno nel 2006. È
cresciuta la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera fino
alle 390 parti per milione – negli ultimi 650.000 anni non aveva mai
superato le 300 parti per milione.  Allo stesso tempo crescono le
temperature medie del pianeta e i fenomeni climatici estremi crescono
in numero e intensità. È cresciuto il livello di inquinamento delle
nostre città e il numero di persone, soprattutto bambini, che si
ammalano a causa della cattiva qualità dell’aria. È cresciuta la
percentuale di terreni agricoli desertificati a causa dell’agricoltura
chimica e intensiva, fino al 27%, un terzo del totale. È cresciuta
l’impronta ecologica degli italiani: oggi consumiamo 2 volte e mezza le
risorse naturali che un territorio grande quanto l’Italia sarebbe
capace di produrre. È cresciuto il prezzo del petrolio, fino a superare
i 120 dollari al barile. È cresciuta la disoccupazione e la precarietà
del lavoro contemporaneamente alla crescita della globalizzazione dei
mercati e dell’economia. È cresciuta la disoccupazione anche in seguito
all’introduzione di impianti altamente automatizzati come gli
inceneritori di rifiuti – l’inceneritore di Brescia occupa una decina
di persone a fronte di un investimento di 350 milioni di euro, il
centro di riciclo di Vedelago (TV), ne occupa 64!
Sono decine gli indicatori che indicano l’impossibilità di crescere
ancora senza compromettere definitivamente la qualità della nostra
vita: non c’è più lo spazio fisico per proporre, come si fa da decenni,
una crescita infinita e senza limiti. C’è, invece, lo spazio per
migliorare il nostro benessere attraverso una drastica riduzione dei
nostri consumi, che in gran parte sono sprechi. Per produrre e
consumare energia elettrica, sprechiamo la metà dei combustibili
fossili che importiamo. Il 40% dei nostri rifiuti sono imballaggi che
sprecano plastica, vetro, carta, metalli. Le nostre case sprecano oltre
il 70% dell’energia usata per il riscaldamento. Crescere ancora
significherebbe soprattutto far crescere ancora questi ed altri
sprechi. Ridurre i consumi significherebbe, invece, creare nuove
occasioni di lavoro nell’industria della riduzione dei rifiuti, del
riciclaggio, dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili di
energia, ma significherebbe anche migliorare la qualità dell’aria,
dell’acqua, del territorio e, in definitiva, della vita.
La qualità della nostra vita non dipende da quante merci riusciamo a
consumare. Al contrario, ridurre l’invadenza delle merci e dei consumi
nella nostra vita è l’unico modo per migliorarne la qualità: siamo
giunti a un tale livello di spreco che qualsiasi attività umana può
essere fatta con minore impiego di risorse naturali, minori scarti e
minore inquinamento. Si tratta di una riflessione che proponiamo
all’intera classe politica italiana per sollecitare un cambiamento
epocale di cultura e mentalità oggi più che mai necessario.

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