sulle mani di Togliatti imbevute del sangue degli anarchici e dei trotzskisti…

Togliatti, gli anarchici e i trotzskisti:
sì, credo proprio che fu un uomo di Stalin…
http://liberazione.it/giornale_articolo.php?id_pagina=50169&pagina=23&versione=testuale&zoom=no&id_articolo=368202

 

Caro direttore
la
mia frase sulle mani di Togliatti imbevute del sangue degli anarchici e
dei trotzskisti ha suscitato alcune proteste. Provo a rispondere, prima
nel merito e poi nella sostanza politica.
Mi si chiede di fornire le
prove del coinvolgimento di Togliatti nel massacro degli anarchici e
dei trotzkisti russi, spagnoli e italiani ad opera dei sicari
stalinisti: e potrei rispondere ricordando che Togliatti, alla
richiesta di provare le accuse contro l’anarchico Ghezzi imprigionato
in Urss nel ’29 (e in seguito assassinato), rispose che «per noi
comunisti, la questione delle "prove" è una questione che non si pone:
è, anzi, una questione sciocca. Chiedere le prove della condanna del
Ghezzi vuol dire sostenere che ogni singolo atto del governo dei soviet
deve essere sottoposto a un controllo pubblico». Rispondo invece
ricordando che, all’indomani dell’assassinio del compagno Berneri ad
opera dei sicari del Comintern, Togliatti scriveva (senza firmarsi), in
un editoriale de "Il grido del popolo" (20 maggio 1936) che «Camillo
Berneri è stato "giustiziato" dalla Rivoluzione democratica, a cui
nessun antifascista può negare il diritto di legittima difesa», mentre
la Pravda annunciava che a Barcellona «l’epurazione dei trotzkisti e
degli anarco-sindacalisti è già iniziata, e viene condotta con la
stessa energia usata in Urss». E sull’"Internazionale comunista"
Togliatti spiegava che era necessario «epurate, radicalmente e per
sempre, dai banditi che sono penetrati nei loro ranghi per trascinarvi
direttive e parole d’ordine fasciste», dunque «liberare definitivamente
il movimento operaio internazionale dal lerciume trotzkista». A chi,
magari sulla scorta di Luciano Canfora (che almeno non si vergogna a
difendere, con Togliatti, Stalin), accampasse la congiuntura
internazionale e le "dure leggi della storia" ricordo che sin dal 1926,
tacitando Gramsci che criticava le epurazioni che si intravedevano in
Urss, Togliatti difendeva la linea stalinista. Diversi anni dopo e in
ben altro clima, così Togliatti rispondeva a Salvemini ("Rinascita",
marzo 1950) che lo accusava della morte del compagno Berneri: «vi fu la
nota rivolta barcellonese del maggio: una serie confusa di sanguinose
battaglie di strade, da casa a casa, dai tetti, ecc. Il Berneri cadde
in uno di questi scontri: ecco tutto…». Alla lettera aperta di Victor
Serge che chiedeva notizie degli antifascisti italiani scomparsi in
Urss, come pure alle lettere di Barbara Seidenfeld, la compagna di
Pietro Tresso, Togliatti non ha mai risposto. Sono vicende note, sulle
quali si possono leggere i romanzi recenti di Stefano Tassinari ("Il
vento contro", recensito giusto domenica scorsa su Queer da Antonini) e
Alessandro Bertante ("Al diavul"): tutti anticomunisti? Se invece si
vuole qualche fonte storica, che consiglio vivamente a Maselli e Curzi,
si può cominciare col volume Gulag. Storia e memoria curato per
Feltrinelli da Elena Dundovich, Francesca Gori ed Emanuele Quercetti.
Per Dundovich non solo Togliatti «evidentemente era al corrente della
tragedia complessiva», ma «l’insieme dei documenti provano in maniera
inequivocabile come, seppur non continuativamente, vi prese parte». Il
resto, per chi vuole vedere, viene da sé: Togliatti ha responsabilità
politiche, se non operative, nel massacro di una generazione di
rivoluzionari. Negare ciò equivale a sostenere l’esistenza di uno
stalinismo senza stalinisti. Ma cosa c’entrino gli stalinisti col
comunismo, io non l’ho mai capito.
Vengo al secondo punto: a che
vale oggi ricordare i crimini di Togliatti, da alcuni esaltato come
grande dirigente? A me certe esaltazioni fanno venire in mente quei bei
versi di Brecht: «Il giovane Alessandro conquistò l’India. / Lui, da
solo? / Cesare sconfisse i Galli. / Non aveva con sé neanche un
cuoco?». Togliatti fece tutto da solo? E le masse? Fu solo grazie alla
sua direzione politica che il movimento comunista crebbe nel paese? In
Spagna la risposta togliattiana allo slogan di Durruti "fare la
rivoluzione per vincere la guerra" fu "vincere la guerra per fare la
rivoluzione": una linea politica che equivale all’idea odierna che
prima si vincono le elezioni (a qualunque costo, pur di compiacere la
borghesia moderata), e poi si pensa a cambiare la società. Gli eredi di
Togliatti sono riusciti, allo stesso prezzo, a fare senza spargimento
di sangue quello che Togliatti e il Comintern fece negli anni Trenta:
liquidare la sinistra per dimostrare di essere credibili agli occhi
della borghesia e dei governi europei. Il punto è questo, credo: per
fare società, per fare moltitudine, bisogna partire dal basso e dai
movimenti reali, non dall’alto delle segreterie, delle tattiche, dei
vertici. Marx il comunismo lo pensava non come un’astuzia tattica, ma
come un movimento reale che modifica lo stato di cose esistente. Per
contro, l’astuzia politica di Togliatti e dei suoi eredi (da Ferrara a
D’Alema e Veltroni) mi ricorda il Napoleon della "Fattoria degli
animali" di Orwell che ripete saltellando «tattica, compagni, tattica».
Ma anche Orwell, come Berneri e come me, fu tacciato di anticomunismo.
Girolamo De Michele

21/05/2008

This entry was posted in politica. Bookmark the permalink.