Normal
0
false
false
false
MicrosoftInternetExplorer4
/* Style Definitions */
table.MsoNormalTable
{mso-style-name:”Tabella normale”;
mso-tstyle-rowband-size:0;
mso-tstyle-colband-size:0;
mso-style-noshow:yes;
mso-style-parent:””;
mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt;
mso-para-margin:0cm;
mso-para-margin-bottom:.0001pt;
mso-pagination:widow-orphan;
font-size:10.0pt;
font-family:”Times New Roman”;
mso-ansi-language:#0400;
mso-fareast-language:#0400;
mso-bidi-language:#0400;}
Intervista e articolo
sono pubblicati su LEFT dell’8 agosto
IL MINISTRO VA IN GUERRA. CIVILE
di Chiara Agostini e Manuele Bonaccorsi
Ministro
Brunetta, è un vero piacere intervistarla, specialmente per un giornale come
left, dichiaratamente di sinistra. Non possiamo però non farle notare subito
che il governo, con i tagli all’editoria, sta mettendo a rischio l’esistenza di
decine di testate. Senza un passo indietro sarebbe la più grande morìa di
giornali dai tempi del fascismo.
È
mia intenzione preparare una riforma per togliere ai giornali anche i
finanziamenti che derivano dalla pubblicazione obbligatoria dei bandi di gara e
dei bilanci. Sono soldi buttati, basterebbe pubblicarli sui siti internet dei
singoli enti per risparmiare 200, 300, forse 400 milioni di euro ogni anno. Si
tratta di una tassa medievale pagata agli editori.
A proposito di
tasse medievali. Il governo ha tagliato i fondi alla stampa cooperativa, ma non
ai giornali quotati in borsa, che fanno utili. Penso al Sole 24 ore, a
Repubblica o al Corsera.
È
una cosa che ho denunciato pubblicamente e in risposta sono stato insultato in
diretta a Porta a porta. Si parla tanto di caste. Bene, di “caste” ce ne sono
tante, quella dei giornalisti è una. Una parte dello stipendio di Stella e
Rizzo, ad esempio, viene dallo Stato che dà al loro giornale 22 o 24 milioni di
euro l’anno per carta e abbonamenti postali.
Rimane però il
problema della stampa cooperativa. Molte voci indipendenti rischierebbero di
chiudere.
Si
può ragionare su forme di incentivazione. Ma non credo che lo Stato debba soste nere i giornali di partito.
Neppure le
cooperative indipendenti di giornalisti?
Neppure quelle.
Non
si può chiedere ai giornali, però, di stare sul mercato da soli, in un sistema
pubblicitario dominato da un duopolio che non lascia altri spazi.
Il problema del mercato non è la posizione dominante, ma
l’abuso di posizione dominante. Proprio questa è la funzione dell’antitrust. Ma
passiamo ai nostri temi.
Bene.
Partiamo allora dagli ultimi dati che ha diffuso il suo ministero. Voi
sostenete che a giugno le assenze dei dipendenti pubblici sono diminuite del 30
per cento.
L’indagine parla da sola. È paradossale che alcuni
sindacati e governi locali si siano quasi irritati. Irritarsi di un fenomeno
negativo che regredisce mi sembra paradossale. Questo perché l’indagine non è
stata fatta passando per il sindacato e per i governi locali. Io sto cercando
di dimostrare che grazie a una “coralità di popolo”, di opinione pubblica, a
interventi normativi, ad azioni di stigmatizzazione, l’assenteismo è diminuito.
Mi stupisce che qualcuno si adonti di questo, il Codacons ad esempio:
un’associazione dei consumatori, come il sindacato, dovrebbe avere tutto
l’interesse a veder diminuire l’assenteismo.
Quanto è
rappresentativa l’in dagine? Si tratta solo di 27 amministrazioni su
9.800, tra cui 7 Comuni su oltre 8mila.
La
nostra è un’indagine pilota che riguarda solo alcune amministrazioni,
individuate con un minimo di criterio, senza la rappresentatività dei campioni
statistici e quindi senza la possibilità di estendere il risultato
all’universo. In queste amministrazioni, a maggio l’assenteismo è diminuito del
10 per cento, a giugno del 20 per cento. Non si può estendere questo dato a
tutta la P.a., ma è probabile che sia uguale anche altrove.
Quando ci saranno dati più
certi?
A
luglio, settembre e ottobre ci saranno altre indagini, più esaustive.
L’obiettivo è di arrivare all’analisi dell’intero universo, quindi di tutte le
amministrazioni. Questi dati dovremmo averli per la fine dell’anno perché c’è
l’obbligo di legge di produrli.
I dati
ufficiali del conto annuale evidenziano che nel pubblico i giorni persi per
malattia sono mediamente 10,8. Secondo Federmeccanica, nel privato sono circa
9,6. Non è una gran differenza. Un giorno all’anno per dipendente.
Per
il settore privato i dati non ci sono, queste informazioni infatti non vengono
rilevate con scientificità.
Dai dati del
Conto annuale, emerge un’elevata presenza di donne nella Pubblica
amministrazione, che tendono a fare più assenze per gli impegni familiari. Ad
esempio, tra le assenze per malattia e per permessi retribuiti vengono
conteggiati anche la gravidanza e la cura dei figli sotto i tre anni. E su
tutte le assenze per malattia, quelle delle donne influiscono per oltre il 60
per cento. Si tratta solo di fannulloni, o anche della difficoltà di conciliare
famiglia e lavoro?
Il
vero problema non è prendersela con qualcuno o con qualcun altro, ma
individuare un fenomeno che nel pubblico impiego è certamente rilevante. Per
tantissime ragioni, finora poco studiate e soprattutto mai interpretate in
termini politici. Il vero problema è che l’assenteismo non costa nulla al
cliente finale. O meglio, il cliente finale, ovvero il cittadino, non reagisce
all’assenteismo. Nel settore privato, invece, l’assenteismo colpisce
direttamente i profitti. Ad esempio, alla Fiat, prima della marcia dei
quarantamila, c’erano tassi di assenteismo elevatissimi. Dopo il fenomeno si è
ridotto notevolmente. Vuol dire quindi che l’assenteismo è segno di una cattiva
organizzazione.
Ma quanti sono i “fannulloni”?
Nessuno
lo sa. Potenzialmente tutti. Nella Pubblica amministrazione non c’è nessun
controllo e il risultato è che la massa dei dipendenti, se vogliono lavorare,
lavorano, altrimenti non lo fanno. È quasi un miracolo che il sistema produca
beni e servizi, dato che è lasciato completamente a se stesso.
Come può essere controllata la
pubblica amministrazione?
I
beni e i servizi pubblici hanno un padrone che non è tale, un dirigente che
dovrebbe fare le veci del padrone e spesso non le fa. E non c’è un mercato con
i prezzi.
Quindi come si può valutare la
produttività?
Quando
tu hai un “non mercato”, hai dei beni e dei servizi che costano, ma non hanno
un prezzo. La scuola, la sanità, la sicurezza, hanno un costo ma non un prezzo.
Come si può allora misurare qualità, efficienza, produttività in un sistema che
ha costi e non prezzi? Questo è il problema generale di tutte le
amministrazioni che deve essere risolto con dei succedanei, con delle cose che
“somigliano a…”. Nella Pubblica amministrazione il padrone è il policy maker (l’eletto) che spesso ha
delle funzioniobiettivo diverse rispetto a quelle del padrone che mira al
profitto. Il policy maker dovrebbe
avere l’obiettivo del benessere dei cittadini, ma spesso punta invece alla
massimizzazione del suo potere, che è legata alla quantità di gente che riesce
ad assumere. Mentre il privato assume forza lavoro in ragione dell’efficienza e
non può assumerne di più, altrimenti vede ridurre il proprio profitto, il policy maker punta a massimizzare
l’occupazione a prescindere dai costi.
Ma come si migliora la qualità
della Pubblica amministrazione con i tagli a pioggia previsti dalla manovra
economica?
Questa
è solo banale polemica.
Beh, i tagli
sono nero su bianco. Trenta miliardi in tre anni. Comuni e Regioni hanno alzato
barricate. Tremonti ha detto: «Faremo come in un condominio, ognuno pagherà la
sua parte».
State
intervistando me, non Tremonti.
Ci scusi. Forse
non ci siamo spiegati bene. Vorremmo capire: come si fa a rilanciare la qualità
della Pubblica amministrazione con tagli alla spesa?
Il
decreto 112 contiene alcune correzioni di spesa pubblica, comprese quelle
inerenti il personale. Sul contratto del pubblico impiego abbiamo sospeso per
un anno dei fondi, che saranno ripristinati nel successivo e ridotti del 10 per
cento. L’obiettivo è quello di ridurre una parte di spesa legata agli stipendi
di una parte di Pubblica amministrazione.
Lei ha lanciato
un piano industriale per la Pubblica amministrazione. Ma, chiediamo ancora,
come si fa senza nuovi investimenti?
La
spesa corrente per la Pubblica amministrazione è di circa 700 miliardi di euro,
noi stiamo facendo una correzione di 34,8 miliardi di euro in tre anni per
raggiungere l’obiettivo di “zero deficit” e di rapporto debito/pil al di sotto
del 100 per cento. I tagli sono stati fatti nella parte di spesa cattiva e
improduttiva. Voi mi chiedete come è possibile fare una ristrutturazione
tagliando? Normalmente si fa proprio così. Quando si compra un’azienda si devono
affrontare i problemi delle singole aree e normalmente, mettendola sul mercato,
si può risparmiare il 30 per cento. Parte della riduzione della spesa verrà
reinvestita nel settore pubblico per produrre più e meglio e pagare più e
meglio l’insieme dei dipendenti pubblici.
Non c’è il rischio che con
questi tagli una parte dei servizi saranno costretti ad andare sul mercato?
Non
è il mio obiettivo. Al contrario, voglio aumentare beni e servizi pubblici.
Applicando però logiche di
mercato nel settore pubblico?
Certo,
perché se la logica pubblica offre solo cattivi servizi, io voglio trasportare
l’efficienza del settore privato in quello pubblico.
Ma lo scandalo
della clinica privata Santa Rita, con pazienti operati inutilmente per
aumentare i contributi pubblici, non dovrebbe farci riflettere sui limiti della
logica di mercato, perlomeno in alcuni settori?
Il
problema non riguarda le logiche di mercato, ma i sistemi di controllo.
La Regione
Lombardia, però, ha un sistema amministrativo fra i migliori del Paese.
Ci
vuole più analisi e meno pregiudizi. Credo che beni e servizi pubblici non
debbano necessariamente essere prodotti da pubblici dipendenti, ma possono
essere anche offerti da strutture private in concorrenza fra loro.
Proprio quello
che fa la Lombardia in campo sanitario.
Il
sistema a volte funziona, altre volte c’è il fallimento del controllo.
Non sono rari,
però, i casi di fallimento del mercato.
Assolutamente,
c’è una letteratura infinita su questo tema. Ad esempio le public utilities nascono a fine Ottocento per un fallimento del
mercato. Il sistema ha funzionato fino a quando le municipalizzate, da
produttrici efficienti, non sono diventate luoghi di potere politico. Oggi le public utilities sono uno dei cancri del
sistema economico del nostro tempo.
Non sempre, a
quanto pare, privatizzare risolve i problemi. C’è, ad esempio, il caso di Acqua
Latina: la gestione dell’acqua concessa per trent’anni ai privati ha portato
aumenti delle tariffe del 300 per cento, un’inchiesta della magistratura e la sollevazione
della popolazione di Aprilia. E di casi del genere se ne contano a decine. Che
ne pensa?
C’è
anche il caso della multiutility bolognese Hera, che è di totale proprietà dei
governi locali. Il caso delle municipalizzate è proprio questo: fallimento del
mercato, periodo iniziale di grande efficienza e sistemi di potere subito dopo.
Ancora adesso i governi di destra e di sinistra sono stati incapaci di dare una
risposta.
Il decreto 112
ha riformato anche i servizi pubblici locali. Si stabilisce l’obbligo della
gara per l’assegnazione dei servizi, ma con molte “eccezioni”. L’ex ministra
Lanzillotta vi ha accusato di essere poco liberisti.
La
Lanzillotta non è riuscita a portare termine la sua riforma.
Voi ci siete riusciti?
Il
governo ci sta provando, ma non ho grande sicurezza che ci si riesca.
Confindustria ha affermato: lo
Stato faccia solo quello che i privati non possono fare da soli. Lei è
d’accordo?
Perché
devo commentare quello che dice Confindustria? Io ho fatto 90 giorni di lavoro
straordinario, che è contenuto nelle slide sul sito del ministero, mi chieda di
quelle. Chissenefrega di Confindustria.
A
questo punto il ministro si alza, apre la porta del suo studio e ci invita ad
andarcene.