Il berlusconismo non è fascismo è dittatura del semiocapitale

Il berlusconismo non è fascismo
è dittatura del semiocapitale

Franco Berardi Bifo
All’inizio di agosto è venuta fuori una discussione che meriterebbe di essere approfondita: il regime instaurato dalla terza vittoria di Berlusconi può essere considerato come un regime fascista? In un articolo uscito sul Manifesto all’inizio di agosto Alberto Asor Rosa rispondeva di sì, anzi sarebbe «anche peggio». In un’intervista uscita sul Corriere della sera Massimo Cacciari reagiva facendo spallucce. Macché fascismo e fascismo, figuriamoci. Mica si mettono in carcere gli oppositori, e poi Berlusconi non porterebbe mai l’Italia in un conflitto mondiale.
La risposta di Cacciari, poche battute forse travisate o mal comprese dal giornale, m’è parsa, più che codarda, superficiale. Ma la posizione di Asor Rosa, fondata su una visione noceventesca della democrazia, rischia di interpretare con un concetto vecchio le forme attuali del totalitarismo.
Cacciari, un pensatore che un tempo suscitava ammirazione profonda, da alcuni anni sembra divenire tanto più tranchant quanto più inconcludente e futile si fa il suo ragionamento. Il precipitare della crisi internazionale in cui l’Italia è coinvolta, è sempre più vicina a trasformarsi in un conflitto generalizzato.
E cosa induce l’ottimo Cacciari a garantire
che l’Italia non sarà trascinata a combattere
per il solito vincitore, che poi,
strada facendo diventa lo sconfitto?
Perché insistere a chiederci se si tratta o
no di fascismo? Quello prodotto da trent’anni
di bombardamento televisivo è
probabilmente peggio del fascismo storico,
perché non si fonda sulla repressione
del dissenso, non si fonda sull’obbligo
del silenzio, ma tutto al contrario, si fonda
sulla proliferazione della chiacchiera,
sull’irrilevanza dell’opinione e del discorso,
sulla banalizzazione e la ridicolizzazione
del pensiero, del dissenso e della
critica. Il totalitarismo di oggi non è fondato
sulla censura del dissenso ma su un
immenso sovraccarico informativo, su
un vero e proprio assedio all’attenzione.
Non si può in alcun modo assimilare
l’attuale composizione sociale del paese
con la composizione sociale, prevalentemente
contadina e strapaesana dell’Italia
degli anni Venti. Nei primi decenni del
secolo ventesimo, il modernismo futurista
dei fascisti introduceva un elemento
di innovazione e di progresso sociale,
mentre oggi il regime forzitaliota non
porta dentro di sé alcun germe di progresso,
e la sua politica economica si fonda
sulla dilapidazione del patrimonio accumulato
nel passato. In questo Asor
Rosa ha visto giusto. Il fascismo è un fenomeno
di modernizzazione totalitaria,
il berlusconismo è un fenomeno di devastazione
della civiltà sociale della modernità.
Mentre il fascismo avviò un processo
di modernizzazione produttiva del
paese, il regime forzitaliota ha dissipato
le risorse accumulate dal paese negli anni
dello sviluppo industriale, come aveva
fatto Carlos Menem in Argentina nel
decennio che ha preceduto il crollo di
quell’economia e di quella società. Ma
questo carattere dissipativo è perfettamente
coerente con la tendenza principale
che si manifesta nel pianeta nell’epoca
neoliberista.
Il capitalismo moderno era fondato su
alcune regole direttamente riconducibili
all’etica protestante. Regole su cui si fondava
la fiducia, elemento decisivo dell’economia
borghese moderna.
Ma ora la forma weberiana dello sviluppo
si esaurisce per il capitalista post-borghese
il quale sa che il credito non dipende
dai valori protestanti dell’affidabilità,
dell’onestà, della competenza, ma dal ricatto,
dalla violenza, dalla protezione familiare
e mafiosa. Non si tratta di una
temporanea caduta del rigore morale, di
un’ondata di corruzione. E non si tratta
neppure di un fenomeno di arretratezza.
Si tratta di un mutamento della natura
profonda del processo di produzione. La
determinazione del valore ha perduto la
sua base materiale, oggettiva (il tempo di
lavoro socialmente necessario, come dice
Marx), e ora dipende dal gioco di simulazione
linguistica, dei media, della
pubblicità, della produzione semiotica,
ma anche dalla violenza.
Ecco allora che la prospettiva in cui vedemmo
l’Italia nella passata epoca moderna
ora si ribalta: proprio ciò che aveva
fatto dell’Europa meridionale controriformata
un luogo arretrato, ora ne fa laboratorio
delle forme di potere postmoderno.
Proprio ciò che aveva messo l’Italia
alla retroguardia dello sviluppo capitalistico
moderno, diviene il motivo della
sua capacità di anticipazione. Proprio
perché predomina la cultura del familismo
immorale, della violenza mafiosa e
del raggiro mediatico, negli anni Novanta
di Berlusconi l’Italia diviene il laboratorio
culturale e politico del capitalismo
criminale iperliberista. La scarsa penetrazione
dell’autorità statale nelle pieghe
della società e dell’economia è sempre
stata considerata un fattore di arretratezza
e di debolezza, ma il neo-liberismo ha
creato una situazione in cui gli interessi
privati, gli interessi di famiglia e di clan
prevalgono sugli interessi pubblici. In
nome di un’ideologia della libera impresa
e del libero mercato si è in effetti aperta
la strada a una sorta di privatizzazione
dello stato. La macchina statale non è stata
ridimensionata, ma si è messa al servizio
di interessi di famiglia. Questo processo
non si è svolto solamente in Italia,
ma qui le condizioni culturali erano particolarmente
ben predisposte.
La deregulation economica ha liberato
immense energie produttive, e al tempo
stesso ha indebolito o distrutto le difese
che la società moderna aveva costruito
per proteggersi dall’aggressività predatoria
del capitale.
Come al capitalismo proprietario si addiceva
il decoro gotico e severo, così al
capitalismo finanziarizzato si confanno
sembianze barocche. A partire dagli
anni ottanta, lo spirito barocco della
Controriforma, che aveva impacciato
le società meridionali fino a tutto il novecento,
non è più un elemento di arretratezza.
Il borghese moderno era legato alla sua
impresa perché le macchine, i luoghi, i lavoratori
dell’industria erano la sua proprietà.
Il capitalismo virtuale separa la
proprietà dall’impresa, l’impresa si finanziarizza
e si immaterializza. La corporation
globale può spostare il suo investimento
in pochi istanti senza render conto
ai sindacati, alla comunità, allo stato.
Il capitale non ha più alcuna responsabilità
verso la società, e ormai, come abbiamo
visto nel caso Enron, neppure nei
confronti dei suoi azionisti. L’etica protestante
non è più redditizia. E’ molto più
efficace l’etica della compromissione mafiosa,
del ricatto e dello scambio illegale.
Nel processo di globalizzazione l’Italia
non è sfavorita dall’illegalismo e dall’immoralità
della sua nuova classe dirigente,
come la sinistra moralista paventa. Al
contrario, l’Italia diviene il paese nel quale
la dittatura tardo-liberista meglio può
svilupparsi.
Qui il regime incorpora comportamenti
del fascismo (la brutalità poliziesca, che
abbiamo visto a Genova nel 2001, l’irresponsabilità
che portò l’Italia di Mussolini
alla guerra catastrofica del 1940-45, il
servilismo che ha sempre caratterizzato
la vita intellettuale italiana). Incorpora caratteristiche
proprie della mafia (il disprezzo
per il bene pubblico, la tolleranza
per l’illegalità economica).
Ma non per questo è una riedizione del
regime fascista né come un sistema di
mafia. Neoliberismo aggressivo e mediapopulismo
sono i suoi ingredienti decisivi,
ed esso funziona obiettivamente come
laboratorio delle forme culturali e politiche
che accompagnano la formazione
del semiocapitale.

This entry was posted in politica. Bookmark the permalink.

2 Responses to Il berlusconismo non è fascismo è dittatura del semiocapitale

  1. gioegio says:

    e se fosse una trappola? anche io non so cosa pensare. vedo i link e poi ti dico. comunque l’articolo che ho postato parlava di altro. non confondiamo

  2. mirko says:

    Qualcuno ricorda la moda dei balli bipartisan tra compagni e nazi che iniziò nel 1993 e finì nel 2000?

    «Proprio per esorcizzare la paura del “contatto” con i naziskin, lunedì 26 aprile, alle ore 22, alla discoteca Akab di Roma, si terrà una manifestazione per salutare “Il manifesto della nuova tolleranza” ideato da Franco Berardi: giovani con simpatie “estremiste” opposte si ritroveranno a ballare e a parlare insieme per un happening che qualcuno ha già definito “storico”» (cfr. “Il resto del Carlino”, 23/4/1993, p. 7).
    http://italy.indymedia.org/news/2005/03/761334.php

    «I naziskin vanno curati, non combattuti. Il tempo dell’antifascismo militante è finito» (sempre Bifo, 23 aprile 1993).
    http://archiviostorico.corriere.it/…231247.shtml

    A me pare che queste sottigliezze teoriche facciano apparire il fascismo storico assai meno violento, rapace, mafioso, sessista, razzista, ecc., di quanto sia stato in realtà. Chi non ha memoria, come si dice sempre, non ha futuro. Purtroppo il tempo dell’antifascismo non è affatto finito.

Comments are closed.