Lettera agli amici: “E’ al colmo la feccia” di Alex Zanotelli

Lettera agli amici: "E’ al colmo la feccia"
Napoli 12 luglio 2008
di Alex Zanotelli

Carissimi,
è con la rabbia in corpo che vi scrivo questa lettera dai bassi di Napoli,
dal Rione Sanità nel cuore di quest’estate infuocata.
La mia è una rabbia lacerante perché oggi la Menzogna è diventata la Verità.
Il mio lamento è così ben espresso da un credente ebreo nel Salmo 12: "Solo
falsità l’uno all’altro si dicono: bocche piene di menzogna, tutti a
nascondere ciò che tramano in cuore.  Come rettili strisciano, e i più vili
emergono, è al colmo la feccia".

Quando, dopo Korogocho, ho scelto di vivere a Napoli, non avrei mai pensato
che mi sarei trovato a vivere le stesse lotte. Sono passato dalla discarica
di Nairobi, a fianco della baraccopoli di Korogocho, alle lotte di Napoli
contro le discariche e gli inceneritori. Sono convinto che Napoli è solo la
punta dell’iceberg di un problema che ci sommerge tutti.

Infatti, se a questo mondo, gli oltre sei miliardi di esseri umani vivessero
come viviamo noi ricchi (l’11% del mondo consuma l’88% delle risorse del
pianeta!) avremmo bisogno di altri quattro pianeti come risorse e di altro
quattro come discariche ove buttare i nostri rifiuti.
I poveri di Korogocho, che vivono sulla discarica, mi hanno insegnato a
riciclare tutto, a riusare tutto, a riparare tutto, a rivendere tutto, ma
soprattutto a vivere con sobrietà.

È stata una grande lezione che mi aiuta oggi a leggere la situazione dei
rifiuti a Napoli e in Campania, regione ridotta da vent’anni a sversatoio
nazionale dei rifiuti tossici.
Infatti, esponenti della camorra in combutta con logge massoniche coperte e
politici locali, avevano deciso nel 1989, nel ristorante "La Taverna di
Villaricca", di sversare i rifiuti tossici in Campania. Questo perché
diventava sempre più difficile seppellire i nostri rifiuti in Somalia.
Migliaia di Tir sono arrivati da ogni parte di Italia carichi di rifiuti
tossici e sono stati sepolti dalla camorra nel Triangolo della morte
(Acerra-Nola- Marigliano), nelle Terre dei fuochi (Nord di Napoli ) e nelle
campagne del Casertano.
Questi rifiuti tossici "bombardano" oggi, in particolare i neonati, con
diossine, nanoparticelle che producono tumori, malformazioni, leucemie…

Il documentario Biutiful Cauntri esprime bene quanto vi racconto.
A cui bisogna aggiungere il disastro della politica ormai subordinata ai
potentati economici-finanziari. Infatti questa regione è stata gestita dal
1994 da 10 commissari straordinari per i rifiuti, scelti dai vari governi
nazionali che si sono succeduti.

È sempre più chiaro, per me, l’intreccio fra politica, potentati
economici-finanziari, camorra, logge massoniche coperte e servizi segreti!.
In 15 anni i commissari straordinari hanno speso oltre due miliardi di euro
per produrre oltre sette milioni di tonnellate di "ecoballe", che di eco non
hanno proprio nulla: sono rifiuti tal quale, avvolti in plastica che non si
possono né incenerire (la Campania è già un disastro ecologico!) né
seppellire perché inquinerebbero le falde acquifere. Buona parte di queste
ecoballe, accatastate fuori la città di Giugliano, infestano con il loro
percolato quelle splendide campagne denominate "Taverna del re".

E così siamo giunti al disastro! Oggi la Campania ha raggiunto gli stessi
livelli di tumore del Nord-Est, che però ha fabbriche e lavoro. Noi, senza
fabbriche e senza lavoro, per i rifiuti siamo condannati alla stessa sorte.
Il nostro non è un disastro ecologico – lo dico con rabbia – ma un crimine
ecologico, frutto di decisioni politiche che coprono enormi interessi
finanziari.

Ne è prova il fatto che Prodi, a governo scaduto, abbia firmato due
ordinanze: una che permetteva di bruciare le ecoballe di Giugliano
nell’inceneritore di Acerra, l’altra che permetteva di dare il Cip 6 (la
bolletta che paghiamo all’Enel per le energie rinnovabili) ai 3 inceneritori
della Campania che "trasformano la merda in oro- come dice Guido Viale –
Quanto più merda, tanto più oro!".

Ulteriore rabbia quando il governo Berlusconi ha firmato il nuovo decreto n.
90 sui rifiuti in Campania. Berlusconi ci impone, con la forza militare, di
costruire 10 discariche e quattro inceneritori. Se i 4 inceneritori
funzionassero, la Campania dovrebbe importare rifiuti da altrove per farli
funzionare. Da solo l’inceneritore di Acerra potrebbe bruciare 800.000
tonnellate all’anno!
È chiaro allora che non si vuole fare la raccolta differenziata, perché se
venisse fatta seriamente (al 70 %), non ci sarebbe bisogno di quegli
inceneritori.

È da 14 anni che non c’è volontà politica di fare la raccolta differenziata.
Non sono i napoletani che non la vogliono, ma i politici che la ostacolano
perché devono ubbidire ai potentati economici-finanziari promotori degli
inceneritori. E tutto questo ci viene imposto con la forza militare vietando
ogni resistenza o dissenso, pena la prigione. Le conseguenze di questo
decreto per la Campania sono devastanti. "Se tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono uguali davanti alla legge (articolo 3 della
Costituzione), i campani saranno meno uguali, avranno meno dignità
sociale-così afferma un recente Appello ai Parlamentari Campani.

Ciò che è definito "tossico" altrove, anche sulla base normativa
comunitaria, in Campania non lo è; ciò che altrove è considerato
"pericoloso" qui non lo sarà. Le regole di tutela ambientale e salvaguardia
e controllo sanitario, qui non saranno in vigore. La polizia giudiziaria e
la magistratura in tema di repressione di violazioni della normativa sui
rifiuti, hanno meno poteri che nel resto d’Italia e i nuovi tribunali
speciali per la loro smisurata competenza e novità, non saranno in grado di
tutelare, come altrove accade, i diritti dei campani".

Davanti a tutto questo, ho diritto ad indignarmi. Per me è una questione
etica e morale. Ci devo essere come prete, come missionario. Se lotto contro
l’aborto e l’eutanasia, devo esserci nella lotta su tutto questo che
costituisce una grande minaccia alla salute dei cittadini campani. Il
decreto Berlusconi straccia il diritto alla salute dei cittadini Campani.

Per questo sono andato con tanta indignazione in corpo all’inceneritore di
Acerra, a contestare la conferenza stampa di Berlusconi, organizzata nel
cuore del Mostro, come lo chiama la gente. Eravamo pochi, forse un centinaio
di persone. (La gente di Acerra, dopo le botte del 29 agosto 2004 da parte
delle forze dell’ordine, è terrorizzata e ha paura di scendere in campo).
Abbiamo tentato di dire il nostro no a quanto stava accadendo. Abbiamo
distribuito alla stampa i volantini :"Lutto cittadino. La democrazia è morta
ad Acerra. Ne danno il triste annuncio il presidente Berlusconi e il
sottosegretario Bertolaso." Nella conferenza stampa (non ci è stato permesso
parteciparvi !) Berlusconi ha chiesto scusa alla Fibe per tutto quello che
ha "subito" per costruire l’inceneritore ad Acerra! (Ricordo che la Fibe è
sotto processo oggi!).

Uno schiaffo ai giudici! Bertolaso ha annunciato che aveva firmato il giorno
prima l’ordinanza con la Fibe perché finisse i lavori! Poi ha annunciato che
avrebbe scelto con trattativa privata, una delle tre o quattro ditte
italiane e una straniera, a gestire i rifiuti. Quella italiana sarà quasi
certamente la A2A (la multiservizi di Brescia e Milano) e quella straniera è
la Veolia, la più grande multinazionale dell’acqua e la seconda al mondo per
i rifiuti. Sarà quasi certamente Veolia a papparsi il bocconcino e così,
dopo i rifiuti , si papperà anche l’acqua di Napoli. Che vergogna!

È la stravittoria dei potentati economici-finanziari, il cui unico scopo è
fare soldi in barba a tutti noi che diventiamo le nuove cavie. Sono infatti
convinto che la Campania è diventata oggi un ottimo esempio di quello che la
Naomi Klein nel suo libro Shock Economy, chiama appunto l’economia di shock!
Lì dove c’è emergenza grave viene permesso ai potentati economico-finanziari
di fare cose che non potrebbero fare in circostanze normali.
Se funziona in Campania, lo si ripeterà altrove. (New Orleans dopo Katrina
insegna!).

E per farci digerire questa pillola amara, O’ Sistema ci invierà un migliaio
di volontari per aiutare gli imbecilli dei napoletani a fare la raccolta
differenziata, un migliaio di alpini per sostenere l’operazione e trecento
psicologi per oleare questa operazione!! Ma a che punto siamo arrivati in
questo paese!?! Mi indigno profondamente! E proclamo la mia solidarietà a
questo popolo massacrato! "Padre Alex e i suoi fratelli " era scritto in una
fotografia apparsa su Tempi (inserto di La Repubblica). Sì, sono fiero di
essere a Napoli in questo momento così tragico con i miei fratelli (e
sorelle) di Savignano Irpino, espropriati del loro terreno seminato a
novembre, con i miei fratelli di Chiaiano, costretti ad accedere nelle
proprie abitazioni con un pass perchè sotto sorveglianza militare.

Per questo, con i comitati come Allarme rifiuti tossici , con le reti come
Lilliput e con tanti gruppi,
continueremo a resistere in Campania. Non ci arrenderemo. Vi chiedo di
condividere questa rabbia, questa collera contro un Sistema
economico-finanziario che ammazza e uccide non solo i poveri del Sud del
mondo, ma anche i poveri nel cuore dell’Impero. Trovo conforto nelle parole
del grande resistente contro Hitler, il pastore luterano danese, Kaj Munk
ucciso dai nazisti nel 1944 . "Qual è dunque il compito del predicatore oggi
? Dovrei rispondere: fede, speranza e carità. Sembra una bella risposta. Ma
vorrei dire piuttosto: coraggio.

Ma no, neppure questo è abbastanza provocatorio per costituire l’intera
verità… Il nostro compito oggi è la temerarietà
Perchè ciò di cui come Chiesa manchiamo non è certamente né di psicologia né
di letteratura. Quello che a noi manca è una santa collera".
Davanti alla menzogna che furoreggia in questa regione campana, non ci resta
che una santa collera. Una collera che vorrei vedere nei miei concittadini,
ma anche nella mia chiesa. "I simboli della chiesa cristiana sono sempre
stati il leone, l’agnello, la colomba e il pesce-diceva sempre Kaj Munk-Ma
mai il camaleonte".

Vi scrivo questo al ritorno della manifestazione tenutasi nelle strade di
Chiaiano, contro l’occupazione militare della cava. Invece di aspettare il
giudizio dei tecnici sull’idoneità della cava, Bertolaso ha inviato
l’esercito per occuparla. La gente di Chiaiano si sente raggirata,
abbandonata e tradita .
Non abbandonateci.
È questione di vita o di morte per tutti. È con tanta rabbia che ve lo
scrivo. Resistiamo!

Alex Zanotelli

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Il patetico muro di Lampedusa

di Gad Lerner.

Il governo italiano risponde da par suo al cittadino del mondo Barack
Obama, simbolo meticcio della contemporaneità. “Dobbiamo abbattere
tutti i muri che ancora dividono i popoli e le razze, i ricchi dai
poveri”, invocava giovedì da Berlino il candidato presidente. E noi?
L’indomani facciamo finta di edificare il patetico muro di Lampedusa.
Naturalmente è una bugia che il territorio nazionale sia minacciato da
un’invasione di “clandestini” tale da richiedere la proclamazione dello
stato d’emergenza. Al contrario, una vera emergenza scatterebbe nella
malaugurata ipotesi che i lavoratori immigrati privi di permesso di
soggiorno abbandonassero le nostre aziende e le nostre famiglie. Ma per
il ministro Maroni lo scandalo e la riprovazione internazionale sono
boccate d’ossigeno, perseguite cinicamente, come già i commissari
etnici, il censimento dei nomadi e la sottolineatura esibita delle
impronte digitali obbligatorie per i minori rom.
Di fronte ai funzionari del Viminale e ai prefetti impensieriti da tale
crescendo di deroghe alla normale amministrazione dell’ordine pubblico,
pare che Maroni si giustifichi sottovoce: lasciate che io lanci i miei
proclami urticanti e prometta ai sindaci squattrinati la stella di
sceriffo; ci aiuterà quando dovremo far digerire agli enti locali
l’inevitabile perpetuazione dei campi nomadi e dei ricoveri provvisori.
Logica vorrebbe che il governo della destra autoritaria, come antidoto
ai flussi incontrollati, faciliti nuove procedure d’immigrazione
regolare. Ma non è questo che vuole. Gli stranieri continueranno ad
arrivare con visti turistici per essere assunti in nero. Resteranno
estenuanti le pratiche di rinnovo del permesso di soggiorno, e nel
frattempo anche i regolari che perdono il posto verranno lasciati
precipitare nel gorgo dell’illegalità. Perché nel paese dell’economia
sommersa il sopruso e l’ingiustizia convengono a molti.
Chi ha vinto le elezioni imponendo la percezione di una società preda
della criminalità straniera, chi alimenta la leggenda degli immigrati
furbi, titolari di privilegi a scapito della popolazione locale, ora
accoglie come un complimento perfino l’accusa di disumanità. Ne misura
gli effetti benefici sui sondaggi d’opinione.
Il senso comune reazionario viene infatti coltivato a uno scopo
preciso: programmare una guerra tra poveri qualora il calo dei redditi
acuisca gravemente il disagio sociale. Seminare oggi il falso allarme
per “il persistente ed eccezionale afflusso di extracomunitari”;
annunciare il potenziamento delle “attività di contrasto”, non
rappresenta una deriva fascista ma qualcosa di più subdolo e insidioso:
la codificazione della disuguaglianza anche in materia di diritti
fondamentali dell’uomo, fra cittadini e non cittadini, fra appartenenti
al popolo ed estranei necessari al popolo purchè rassegnati alla
condizione di paria. Questa teorizzata disparità di trattamento è alla
base delle antimoderne campagne contro la costruzione di moschee a
Milano e Genova, città in cui vivono decine di migliaia di musulmani.
Ma l’intimidazione degli stranieri irregolari -necessari e quindi
tollerati purchè ridotti a paria- già ne condiziona la vita,
all’insegna della paura: varie associazioni di medici denunciano un
calo drastico dell’utenza di immigrati bisognosi di cura nelle
strutture sanitarie. Vogliamo considerarlo un risparmio, o una vergogna?
La destra italiana fu rigenerata quindici anni fa dall’inventore della
tv commerciale facendo leva sulla figura universale, moderna,
tendenzialmente cosmopolita, del consumatore di prodotti. Oggi, al
contrario, la stessa destra propugna una visione etnica
dell’italianità. E aspira a dominare il tempo delle vacche magre
rifornendosi del combustibile particolarista: quasi un nuovo
colonialismo applicato al mercato domestico.
Nel resto d’Europa destra e sinistra si dividono sull’applicazione di
norme rigorose che governino il flusso migratorio, sempre finalizzate
all’integrazione e alla cittadinanza. Ultima venuta, l’Italia viceversa
s’inebria di retorica del “territorio” da purificare con la macumba di
un’immensa ronda provvidenziale. Come se per bucare il video dei talk
show i politici di entrambi gli schieramenti fossero chiamati solo a
gareggiare su chi sia il più bravo a espellere il maggior numero dei
famigerati “clandestini”. Eppure non è lontano il tempo in cui le nuove
generazioni degli immigrati parteciperanno alla contesa pubblica,
chissà, forse esprimendo i loro Obama multicolore. Speriamo solo di non
arrivarci per via di una guerra tra poveri, nel segno dell’odio
separatista.

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False intercettazioni Berluscon-Confalonieri: alcune considerazioni sparse

 AVVERTENZA: Per venire incontro ai meno dotati – questa intercettazione NON ESISTE, è inventata, frutto della fantasia. Capito?
Quali? Queste:
http://74.125.39.104/search?q=cache:DPMJjJue4-IJ:www.laprivatarepubblica.com/le-nostre-inquisizioni/italian-tabloid/une-pipe-au-casino-berlusconi2/+site:http://www.laprivatarepubblica.com/le-nostre-inquisizioni/italian-tabloid/une-pipe-au-casino-berlusconi2/&hl=it&ct=clnk&cd=1&gl=it

http://mau.posterous.com/lintercettazione-fasulla-di-em

http://groups.google.com/group/it.media.tv/browse_thread/thread/2f4c93d5af6a96e6#

 

Oggi il sito http://www.laprivatarepubblica.com/ ha pubblicato un pezzo finzione,
ironico, satirico, inventato come indicato dall’autore in maniera
chiara, simpatico, divertente, scherzoso, finto, "falso" (chi non l’ha
capito è un Bondi) e contenente le trascrizioni [come già detto
inventate e quindi "false"!!!] delle intercettazioni tra Silvio e
Confalonieri.
Ora il sito dice di essere "in manutenzione" e non è più visibile e nemmeno con la cache di google si riesce a trovare molto.
L’autore, che studia a Bologna ma è di Padova, alla domanda Come ti è venuta l’idea di fare la falsa telefonata? risponde così:

«Mi è venuta perchè l’atteggiamento intero della stampa è stato
ridicolo. Per settimane ci sono state allusioni, veleni, parlamentari
che nominavano la Lewinsky, persone che dicevano “Io le ho viste, sono
una bomba, cade il governo!”. Ah, per una telefonatina di basso gossip
politico cade il governo? Non per tutte le altre questioni, tra cui il
disprezzo totale della legge, l’attacco perenne alla magistratura
(salvo poi servirsene per massacrare chi scrive sul web, chapeau), lo
sfacelo morale ed etico in cui versa l’Italia.
La falsa telefonata era uno sfogo, un pezzo in cui l’obiettivo primario
non era tanto Berlusconi quanto l’atteggiamento della stampa. Che si
parli del 41-bis, dei boss scarcerati. Delle stragi del ‘92-’93, del
ricatto perenne che governa l’ambiente istituzionale».

Le "bestie" del giornalismo ita(g)liano invece si sono scatenate e sono arrivate a scrivere questo:

Roma, 7 lug.- (Adnkronos) – A quanto apprende l’ADNKRONOS, la magistratura romana sarebbe in procinto di oscurare il sito, registrato alle Antille, che ha pubblicato il testo di una falsa telefonata tra Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri.

Tralasciamo la questione della magistratura romana. Possibile che il
porto delle nebbie si attivi con una tale velocità? A volte penso che
si confonda Ghedini con la procura. Detto questo il sito in questione
era ospitato alle Antille…
Peccato che le Antille in questione si riferiscano ad Aruba, una
società con sede a Bibbiena in provincia di Arezzo. E bastava fare il
whois in uno dei mille siti che permettono di farlo.
Come è evidente "Aruba" è il nome dell’azienda,
non la località. Se si è giornalisti ita(g)liani invece e si cerca
Aruba su google ci appare subito la paginetta di quelli di Turisti
per Caso che ad Aruba nelle Antille Olandesi (quindi Olanda anche se dall’altra parte dell’oceano, non Haiti o Marte) ci sono andati oppure
direttamente la mappa con foto di spiagge incluse di google maps.

Poi qualcuno ha scritto che il sito è stato oscurato – da chi? da dio?
– quando invece semplicemente o il server web è andato in tilt per le
troppe richieste oppure è stato bloccato da Aruba che lo ospita perchè
di solito si fa un contratto a traffico. Quando si supera la soglia
pattuita il sito è messo off-line per un tot di tempo. Molto peggio
sarebbe un blocco per eccesso non di traffico ma di fifa. Basta una
telefonata da Dio o dal suo avvocato per violare un contratto?

Il testo integrale delle false intercettazioni, tra l’altro verosimili
e quindi, per quel che mi riguarda, sufficienti per cacciare un governo
di cialtroni come l’attuale, si trova qui:

http://mau.posterous.com/lintercettazione-fasulla-di-em


http://www.spinoza.it/laprivatarepubblica/

http://74.125.39.104/search?q=cache:DPMJjJue4-IJ:www.laprivatarepubblica.com/le-nostre-inquisizioni/italian-tabloid/une-pipe-au-casino-berlusconi2/+site:http://www.laprivatarepubblica.com/le-nostre-inquisizioni/italian-tabloid/une-pipe-au-casino-berlusconi2/&hl=it&ct=clnk&cd=1&gl=it
http://groups.google.com/group/it.media.tv/browse_thread/thread/2f4c93d5af6a96e6#

Se non ci fossero più ecco di seguito l’inizio del post del 22enne che
ha scatenato il panico (Dagospia lo deve aver preso inizialmente per
vero e poi si è un tantino indispettita – ma anche questa è finzione – oppure qualcuno ha spaventato il titolare…) e tanti folli articoli.
Ancora una volta si parla, si
discute, si denuncia, si fanno leggi in base a cose che nessuno a parte
gli eletti in senso lato riescono a leggere.

Si è scatenato un vero e proprio dramma intorno alla sottile linea calda
istituzionale. Frotte di italiani infervorati, dopo aver
sentito/guardato/letto del succhiogate si sono fiondati sull’internets,
i pantaloni slacciati e la manina tremante, alla ricerca di “garfagna
pompino berlusconi”, “intercettazione pompino berlusconi” e via googlando.
Figurarsi se fosse venuta fuori l’esistenza di un sextape – gli emuli
porno di Youtube avrebbero dovuto chiudere i battenti a causa di
un’intera nazione che dispiega la sua sgangherata potenza di ricerca.

Oh, la prurigine, che bella cosa! Non ci siamo mai mossi dalla
commedia erotica all’italiana. E’ quest’ultima che si è spostata,
infatti – dal cinema all’aula parlamentare, tra festini a base di coca
(in attesa che i parlamentari scoprano l’iDoser,
ça va sans dire), viados-tour e fellanti ministeri senza portafoglio.
Ora che il gruppo Espresso, insieme ad altre redazioni, si è calato le braghe di fronte al padrone,
finalmente c’è la certezza che nulla verrà pubblicato – una gustosa
anteprima di quello che avverrà in futuro dopo il varo della
legge-cancella-intercettazioni: il villaggio del ricatto globale.

Bene, cioè male. Non tutto è perduto, però: a questo punto
subentriamo noi. Eh già. Grazie ad un eroico anonimo, che rimarrà tale
per ovvi motivi di sopravvivenza (quindi niente professione, ambienti
frequentati, gole profonde corrotte, etc.), siamo riusciti a venire in
possesso di uno dei verbali di trascrizione, tutto nudo e tutto caldo,
supersegretissimo. Fatene buon uso, magari per estorcere pacatamente e
serenamente il vicino, la suocera, il provider o i genitori che non vi
danno i soldi per commettere reati finanziari ed entrare in Parlamento.
Ma non ditelo troppo in giro, mi raccomando.

Le casino berlusconi

VERBALE: di trascrizione di conversazioni
telefoniche in arrivo ed in partenza sull’utenza avente il numero XXX
XXXXXXX in uso a F. C., come da decreto del 12.2.2008 emesso dalla
Procura della Repubblica di Milano.

LEGENDA

S.P. = Segretaria de Il Presidente

F.C. = (omissis)

B. = Il Presidente

23.04.2008 / Durata: 8:49 minuti

F.C.: Pronto?

S.P.: Si, segreteria…

F.C.: Eh, sono io.

S.P.: Ah! Le passo subito il presidente. Arrivederci, stia bene.

F.C.: Anche lei, grazie.

(Secondi di attesa)

B.: Carissimo! Come va?

F.C.: Ciao, eh…non propriamente, diciamo, ecco…

[molti molti ecc ecc]

AVVERTENZA: Per venire incontro ai meno dotati – questa intercettazione NON ESISTE, è inventata, frutto della fantasia. Capito?

Giusta per dirla tutta: di
Berlusconi che è presidente del consiglio non possiamo sapere se e da che
velina si fa fare i pompini prima di nominarla ministra mentre
dell’autore di questo post sappiamo anche il numero di telefono. Perchè
se il sito è suo e registrato a lui allora lui è costui, classe 1986 e
probabilmente iscritto ad Ingegneria Informatica a Bologna. Ma a parte
Gilioli dell’Espresso non lo scoprirà nessuno se non i carabinieri dopo
mesi di ricerche e il sequestro di tutta Aruba Italia compreso le sedie
e le scrivanie.

In conclusione un post dichiaratamente satirico su di un sito personale
e una valanga di merda e stronzate raccontate per tutto il giorno dai
giornali e dagli sgherri di turno.

Esemplare questa dichiarazioni di Ghidini, vero ministro ombra della "giustizia di
Silvio" nonchè suo dipendente fisso in quanto suo avvocato 24h su 24
(caso evidente di rapporto a tempo indeterminato mascherato da un
contratto di collaborazione o da una partita iva, quindi da assumere
immeditamente col pagamento dei contributi pregressi):

«In relazione alla pubblicazione in un sito Internet di una
comunicazione telefonica, asseritamente intercorsa nell’ambito di un
procedimento penale fra il presidente Berlusconi ed il dottor
Confalonieri, si tratta con assoluta evidenza di un falso plateale
completamente inventato e surrettiziamente costruito.
Trattasi di un testo con ogni evidenza gravemente
diffamatorio e per il quale saranno esperite tutte le azioni
giudiziarie del caso, diffidando chiunque nel contempo a pubblicarlo o
a riprenderne anche parzialmente il contenuto»

E anche il dipendente Confalonieri, da par suo, «diffida quindi ogni
organo di informazione alla diffusione in tutto o in parte di questa
falsa telefonata la cui pubblicazione sarebbe gravemente e
gratuitamente diffamatoria. Contro chi dovesse contravvenire saranno
proposte tutte le azioni giudiziarie in ogni sede competente».


Ovviamente invito tutti alla moderazione e alla NON diffusione dei link con il testo integrale delle verosimili-finte intercettazioni di Silvio B. O ancora meglio: prima di NON inviarlo modificatelo a piacere.

 

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False intercettazioni: il testo integrale

Le false intercettazioni di Silvio e Confalonieri su Mara si trovano qui

http://mau.posterous.com/lintercettazione-fasulla-di-em
http://www.spinoza.it/laprivatarepubblica/

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[Aggiornamento TotoPompini] si mette male per Silvio “cento colpi di cazzo” B.

da Dagospia http://dagospia.excite.it/esclusivo.html

APPENA SBARCATA DAL VOLO RIO-MALPENSA VERONICA AVREBBE VISTO I LEGALI
PERCHÈ LA PUBBLICAZIONE DELLE INTERCETTAZIONI AVREBBE FAVORITO LA LARIO
PERCHÉ IL GRUPPO ESPRESSO E MIELI NON HANNO DIVULGATO SILVIO-HARDCORE

Ci voleva un articolone di Repubblica (by Cresto-Dina, vice direttore) per annunciare che Veronica non farà nessuna lettera-comunicato-intervista sul gnocca-gate più spettegolato e meno pubblicato? Mah. Le intercettazioni di Silvio hard-core erano – dicono gli “addetti ai livori” – nelle manine del Gruppo Espresso e in quelle di Paolino Mieli.

Quest’ultimo
“a titolo personale”, se si può dire, vale a dire non le avrebbe mai
portate a via Solferino e consegnate al redazione. Le ha tenute
gelosamente per sé e solo da qualche allusione maliziosa e fotina
birichina si è capito che il direttore del Corriere conosce – e bene –
il contenuto delle chiacchiere a ruota arrapata dell’infojato
Cavaliere.

Per quanto riguarda ‘La Repubblica’ e ‘L’espresso’
si è capito ieri, leggendo il pezzo “riassuntivo” delle prodezze &
nefandezze intercettate, a cura del vice direttore Giuseppe D’Avanzo,
che gli hard-core–files non sarebbero mai state pubblicati – e oggi
Curzio Maltese lo scrive: “la festa appena iniziata è già finita”.

Bene.
Come mai non è arrivata la spallata di carta al governo berluscone? (Ma
fino al giorno 8 luglio tutto potrebbe succedere, in base a ciò che
sentenzierà il gup di Napoli). Intanto perché, la legge vieta di
intercettare due deputati della Repubblica (senza previa autorizzazione
del Parlamento).

Secondo punto: lo studio legale del Gruppo
Espresso (Ripa di Meana) avrebbe formulato – dicono – parere negativo
sulla pubblicazione. Forse sono troppo “intime” le conversazioni,
comunque se pubblicate scatenerebbero un’apocalisse su De Benedetti e
compagni. E dato che in italia, il più pulito ha una rogna così, come
ha ricordato Cossiga alludendo alla fedeltà coniugale di Scalfari, insomma mejo abbassare penna e saracinesca.

E torniamo al silenzio di Veronica,
di cui Dagospia è stato il primo a scriverne. Ora va da sé che ciò che
scriviamo sono solo indiscrezioni di cui non abbiamo nessuna conferma
ma le fonti son ben autorevoli.

Quindi, la bomba: Lady Lario, appena sbarcata alla Malpensa, avrebbe contattato i suoi legali. Infatti, sotto il primo strato di orgoglio ferito di Veronica
batte sempre la ferita della divisione dell’impero berlusconiano.
Secondo gli “addetti ai livori”, in parole povere, il reale motivo
della crisi eterna tra Silvio e la moglie avrebbe origine dalla diversità di opinione sul frazionamento del patrimonio billionaire tra i 5 figli.

Ora il frutto di primo letto della carica fecondativa del Cavaliere sono Marina (capo della Mondadori) e Piersilvio (capo di Mediaset), quelli sfornati dai lombi della Lario
sono invece tre: Luigi, Barbara ed Eleonora. Che per ora, vista anche
l’età, non ricoprono nulla di importante se non il ruolo di consigliere.

Ora
se la matematica non è un’opinione si prende il montepremi dei sudori
del Cav infojato e lo si divide per 5: 20% ciascheduno. Facile, no?
Invece, qui sta il casino: dividendo così i tre pargoli di Veronica avrebbero in mano il 60% dell’impero, ergo la maggioranza e Silvio non lo trova opportuno, per non dire ingiusto. Lui vuole dividere a metà: 50% a Marina e Piersilvio e l’altra metà ai tre pargoli di secondo letto. Ma da questo orecchio Veronica non ci sente.

Certo, con una separazione per colpa, la situazione si ribalterebbe a suo favore, e con le chiacchiere hard-core di Silvio
sarebbe una passeggiata. Ma quelle maledette intercettazione non
intendono uscire e una separazione consensuale porterebbe solo a un
accordo famigliare (50% e 50%). Salvo errori, orrori e omissioni, così
raccontano.

Dagospia 05 Luglio 2008

Posted in Generale | Comments Off on [Aggiornamento TotoPompini] si mette male per Silvio “cento colpi di cazzo” B.

TotoPompino: chi ha fatto cosa a Silvio B?

Pare che Mara, parlando non si sa a chi, raccontasse dei pompini fatti a
Silvio. Ma potrebbe essere anche essere stata Michela. O Giorgia.
Quindi Carfagna, Brambilla o Meloni? Io dico Brambilla e ci punto una
birra. Allora facciamo TotoPompini: chi ha fatto cosa a Silvio B?
Anche su questo noi Italiani siamo avanti. In Belgio Tania Derveaux ha promesso
un pompino per ogni voto. Chiaramente una vetero-democratica: in Italia
se ne fai uno giusto poi diventi direttamente ministra. E’ il porcellum? Qui le info: http://dagospia.excite.it/articolo_index_41721.html
Praticamente
il governo potrebbe cadere da un momento all’altro sopratutto se il
pompino fosse "avVenuto" prima del voto: ergo lo tengono per le palle…

Aggiornamento: Mi dicono che la Michela sia stata trombata proprio all’ultimo sia dal
ministero della salute sia da quello dell’ambiente. Quindi non è
ministra ma sottosegretaria. Considerando dunque che Michela è stata trombata due volte e
che invece qui si parla di un pompino solo non rimarrebbe, stando a Dagospia, che la sobria Mara. La stessa Mara che scrive a Repubblica di condividere "le parole del Papa
quando afferma che la 194 e’ una ferita, che oggettivamente ha fatto
perdere all’Italia milioni di vite provocando un danno spirituale e
demografico del Paese."
Come si sa ci sono sistemi contraccettivi più efficaci e spirituali.

GNOCCA-GATE
– “LA TELEFONATA DI … (NOME DEL MINISTRO) È QUELLA PIÙ FORTE. ROBA DA
PAURA. UNO SCANDALO. C’È LEI CHE SPIEGHEREBBE A UN’ALTRA COME TRATTARE
IL PREMIER… (UNA PRATICA CLINTONIANA)”…

Fabrizio d’Esposito per “Il Riformista”

Sono il Santo Graal della Terza Repubblica. Tutti le cercano ma non le trovano. È il Codice da Silvio,
che intriga molto, ma molto di più del blocca-processi e del lodo
Alfano, testi aridi e noiosi. Ieri Dagospia ha annunciato che usciranno
entro una settimana. E in quel momento, giura, si scatenerà
l’Apocalisse. Testuale. Non a caso le redazioni dei quotidiani italiani
sono in ansia da giorni e i loro direttori tentano di capire che cosa
fare. Qualcuno le tiene chiuse in un cassetto, un altro le vorrebbe ma
non ce l’ha, un altro ancora si augura che vengano censurate, come nel
caso di Stefano Menichini di ‘Europa’.

Il più diretto, invece, è stato Vittorio Feltri di Libero: «Il vero guaio di Silvio
è la gnocca». Insomma, a tenere banco tra gossip e realtà, parafrasando
Ligabue, sono le presunte intercettazioni hard del Cavaliere su
ministre, veline e attricette. Ossia i brogliacci telefonici usciti
dall’inchiesta di Napoli sul duopolio collusivo Rai-Mediaset, quella su
Saccà tanto per intenderci, e classificati come «non penalmente
rilevanti». E tutto ciò fornirebbe inoltre una chiave di lettura ben
precisa all’annuncio fatto ieri dal premier: «Sulle intercettazioni
probabilmente ci sono i termini di necessità e urgenza per procedere
con urgenza al decreto legge».

Sabato
scorso il Riformista ha riferito che la telefonata più piccante
riguarderebbe un’ex soubrette poi diventata ministro. Il giorno dopo,
sollecitata in merito dal Corriere della Sera, Giorgia Meloni
di An, titolare delle Politiche per i giovani, se l’è cavata così: «Io?
Io proprio no. Le sembro una con il fisico da showgirl?». Dunque la Meloni
non è. Chi resta? I nomi sono quelli lì e ieri poi un autorevole
testimone de oculo, che sostiene cioè di aver letto qualche brano del
prezioso Codice da Silvio, ha confidato a qualcuno che le
ministre sarebbero addirittura due. In pratica, in una telefonata a un
amico il premier farebbe una comparazione tra le qualità delle due
donne. Solo voci? Pura fantasia? Fatto sta che in Transatlantico, ma
anche altrove, non si parla d’altro.

Prima
scena, ieri a Montecitorio. Fuori nel cortile non si respira per il
caldo. Interlocutore maschio: «La telefonata di … (segue nome e
cognome del ministro) è quella più forte. Roba da paura. Uno scandalo.
C’è lei che spiegherebbe a un’altra come trattare il premier… (segue
descrizione di una pratica già causa in un altro paese occidentale di
impeachment)».

Altro capannello, altra
telefonata: «Il Cavaliere teme che esca una conversazione in cui
riferirebbe a un altro le sue difficoltà… (segue specificazione del
campo in oggetto) e di come li avrebbe risolti grazie a un farmaco
sperimentale». Le due voci riportate sono poi indicative dei partiti
che si stanno formando sul contenuto delle intercettazioni (sempre se
ci sono) e sulle relative interpretazioni.

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I partiti sono due. Il primo
mette insieme deputati e senatori che concordano soprattutto su un
punto: il Cavaliere non avrebbe nulla da perdere con queste telefonate.
Anzi. C’è pure chi ripete una frase pronunciata dal premier nei giorni
scorsi. Questa: «Io paura? Sono altre a essere tormentate. Io sono
tranquillo, non temo nulla. Al massimo verrà fuori che sono il più
bravo anche in quello». Capito? Il blocca-processi non sarebbe stato
fatto per i dettagli scabrosi in incubazione alla procura di Napoli. Il
secondo partito, ovviamente, è convinto del contrario: il Cavaliere
teme di perdere la faccia (tesi sostenuta anche da Feltri) per
i particolari che verrebbero fuori. Senza contare che poi lo scandalo
investirebbe altri pezzi di governo. A quel punto non sarebbe esclusa
una crisi.

Fantapolitica? Può darsi, ma qualcuno ricorda che
cosa successe quando furono rese pubbliche le insinuazioni su un
ipotetico flirt tra Gianfranco Fini e un altro ministro. Era qualche
anno fa. Su un quotidiano uscì una conversazione intercettata al bar
fra tre colonnelli di An e successe il finimondo, compresa
un’epurazione ai vertice del partito. Non solo. Terzo capannello a
Montecitorio e altro interlocutore maschio: «La vera questione non è il
sesso. Uno scandalo del genere comporterebbe la separazione di Berlusconi
dalla moglie Veronica. E a quel punto ciò che gli farebbero i giudici
civili in una causa di divorzio sarebbe molto pesante. Gli potrebbero
portare via anche metà del patrimonio. Altro che i processi penali, qui
rischia grosso».

Riassumendo: in queste ore al centro della
vita politica del paese ci sono le voci e i sussurri sulla vita privata
del premier. L’ennesimo conflitto d’interessi. Battute a parte, sarebbe
in atto una vera e propria corsa contro il tempo per bloccare
l’Apocalisse annunciata dal sito di Roberto D’Agostino.

Ieri, intervistato da Renato
Farina per Libero , il presidente emerito della Repubblica Francesco
Cossiga ha detto che stavolta per il premier è scattata «la soluzione
finale». Che comprende anche il gossip e le intercettazioni a luci
rosse. Di qui la decisione del Cavaliere di dare una stretta alla
pubblicazione delle conversazioni sui giornali: decreto legge coi
caratteri di urgenza e necessità. Anche perché il ddl varato dal
consiglio dei ministri ancora non ha cominciato il suo iter
parlamentare. Altro che refuso allora. Quando, infatti, il governo
decise di intervenire sulle intercettazioni ci fu il giallo del decreto
legge: a Palazzo Chigi il ddl divenne dl e il Quirinale si pronunciò
duramente contro un’ipotesi del genere. Il Cavaliere si difese dicendo
che era tutta colpa di un refuso e non c’era dolo.

Adesso che
invece è partito il conto alla rovescia sulle trascrizioni provenienti
da Napoli, è rispuntato fuori il dl. E stavolta non si tratta di un
refuso. Stando alle indiscrezioni, allora, ciò che avrebbe preoccupato
dall’inizio il premier era soprattutto Napoli, non Milano con il
processo Mills. La risoluzione dell’enigma sarebbe contenuta in quelle
pagine. Forse verranno fuori, forse no. In ogni caso la guerra tra il
Caimano e le toghe non è destinata a fermarsi. Dice un berlusconiano
autorevole. «I magistrati hanno cercato di colpire il bersaglio in
tutti i modi. E visto che non ci sono riusciti adesso sono pronti a far
uscire l’ira di Dio sul premier». La «soluzione finale» come
profetizzato da Cossiga, che in casi come questi ci prende sempre.

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Avec quel socialisme le libéralisme est-il incompatible ?

La Tribune.fr –
17/06/08 à 9:34 – 920 mots

Avec quel socialisme le libéralisme est-il incompatible ?

L’incompatibilité radicale entre les deux
doctrines n’existe plus pour une raison simple: ce qui dans le
socialisme était incompatible avec le libéralisme a disparu pour
l’essentiel, estime Gérard Grunberg, directeur de recherche au
CNRS/Sciences po.

En prenant parti clairement pour la
compatibilité du socialisme et du libéralisme (*), Bertrand Delanoë a
relancé un débat presque aussi vieux que le socialisme lui-même. Dans
le passé, à chaque fois que les socialistes ont eu à trancher
politiquement cette question, ils ont réaffirmé l’incompatibilité entre
les deux doctrines. Ils avaient de fortes raisons pour le faire compte
tenu de la définition qu’ils avaient alors du socialisme. Mais le
socialisme d’alors a-t-il encore quelque chose à voir avec celui
d’aujourd’hui?

Originellement, le socialisme français, largement
nourri du marxisme, s’opposait alors aux trois dimensions du
libéralisme, politique, culturelle et idéologique. Politiquement, les
socialistes s’intéressaient peu aux formes de la "démocratie
bourgeoise" et de son système représentatif, même si sous l’influence
déterminante de Jaurès ils jouèrent le jeu électoral et parlementaire.

La
perspective de la révolution prolétarienne rendait inutile une
réflexion poussée sur le libéralisme politique. La dictature du
prolétariat, quelle que soit la définition qui en était donnée,
réglerait, au moins pour un temps, la question de la forme du pouvoir.

Culturellement,
la vision collectiviste des socialistes, malgré l’attachement fort de
Jaurès et de Blum aux libertés individuelles, et plus généralement à
l’héritage républicain, condamnait l’individualisme bourgeois.
L’épanouissement de l’individu ne pouvait venir que de celui de
l’humanité tout entière.

Economiquement, le but ultime du
socialisme était la disparition de l’entrepreneur capitaliste. Le
collectivisme était à la fois le but et la réalisation du socialisme
lui-même. Le profit individuel, donc le libéralisme économique, était
économiquement et moralement condamnable. La ligne de clivage entre
socialisme et libéralisme était alors claire et fondée sur des
incompatibilités théoriques.

Mais aujourd’hui? Le socialisme
français actuel est en réalité beaucoup plus proche du libéralisme
historique sur ces trois dimensions qu’il ne l’est de ses propres
origines. Politiquement, avec la fondation de la IVème, dans laquelle
ils ont joué un rôle majeur, les socialistes ont enfin clairement
revendiqué leur choix de la démocratie représentative et réaffirmé leur
attachement aux grandes libertés publiques. Accolant de manière assumée
le libéralisme politique à la démocratie, c’est-à-dire au suffrage
universel, les socialistes, après la guerre, ont participé, en France
comme ailleurs, au rétablissement et/ou au développement des régimes de
démocratie représentative.

Libéralisme politique et suffrage
universel ont été dès lors inséparables à leurs yeux. En se déclarant
désormais clairement réformistes, ils ont fait leurs adieux à la
révolution. Culturellement, depuis la césure historique de Mai 68, les
socialistes ont été les principaux acteurs de la traduction législative
et réglementaire du libéralisme culturel, même si la droite a également
joué un rôle important en ce sens au milieu des années 1970.

Ils
ont porté politiquement de manière continue les aspirations à
l’élargissement des libertés individuelles, publiques et privées. Face
à Nicolas Sarkozy combattant les valeurs de Mai 68, ils revendiquent
les valeurs du libéralisme culturel.

Economiquement, les
socialistes ont fini par admettre que l’économie administrée était à la
fois inefficace pour produire des richesses et liberticide, car cette
inefficacité incitait les dirigeants à y répondre par la suppression
des libertés et l’oppression. Ils ont compris qu’il fallait produire
les richesses avant de les distribuer et que seul un régime qui
autorisait et encourageait l’initiative économique privée permettait
d’y parvenir.

Ils sont ainsi devenus libéraux économiquement.
Leur nouvelle déclaration de principe du parti opte clairement pour
l’économie de marché, c’est-à-dire pour le libéralisme économique.

Certes,
cela ne signifie pas que les socialistes soient devenus simplement des
libéraux car, de même que politiquement ils ont accolé la démocratie au
libéralisme, économiquement, ils entendent donner un pouvoir important
à la puissance publique et prônent la régulation de l’économie. Etre
socialiste aujourd’hui, c’est être socialiste dans une société
libérale. Les socialistes auraient tort d’analyser cette évolution du
socialisme comme une défaite historique.

L’histoire, au
contraire, a condamné les régimes qui ont voulu contrer cette évolution
de manière radicale et ont ainsi abouti soit à la terreur, soit à la
faillite, soit aux deux. Dans ces conditions, Bertrand Delanoë ne
ferait qu’énoncer une banalité en se disant à la fois libéral et
socialiste si le mot libéral ne conservait encore aujourd’hui à gauche
une charge symbolique aussi forte.

Le libéralisme n’est pas
l’ennemi des socialistes, il est la doctrine avec laquelle ils doivent
trouver le meilleur compromis possible pour atteindre leurs objectifs
propres: la justice sociale, la réduction des inégalités, le soutien
des plus faibles, les moyens d’une action publique forte au service de
tous. Le débat entre le socialisme et le libéralisme demeure à la fois
nécessaire et compliqué.

La mondialisation en renouvelle pour
partie les termes. Mais l’incompatibilité radicale entre les deux
doctrines n’existe plus pour une raison simple: ce qui dans le
socialisme était incompatible avec le libéralisme a disparu pour
l’essentiel. Les réformistes s’en réjouiront, les révolutionnaires le
dénonceront. Mais c’est ainsi, et les débats sémantiques sur cette
question n’y changeront rien!

(*) voir l’article de Laurent Bouvet ("Socialisme et libéralisme sont-ils compatibles?") publié par Telos le 28 mai.

Copyright Telos (www.telos-eu.com)

Gérard Grunberg, directeur de recherche au CNRS/Sciences po

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[dal manifesto] sulla stregoneria in europa

Sguardi incrociati sulla stregoneria in Europa
Dal Mulino il saggio «Le streghe» di Wolfgang
Berhinger, sintesi storico-antropologica di fenomeni analizzati nel
libro «Inquisition et sorcellerie en Suisse Romande»

Marina Montesano
Il 20 maggio, in Kenya, undici persone accusate di
stregoneria sono state linciate e poi bruciate. Nonostante la notizia
abbia fatto scalpore, è difficile dirne qualcosa di preciso perché le
informazioni filtrano con parsimonia. In passato comunque la zona era
stata teatro di episodi analoghi: nel ’92 vi fu una «caccia alle
streghe», che declinò nel ’94. In tutti i casi, incluso l’ultimo, la
folla degli aggressori era composta di giovani, le vittime erano per lo
più anziani; almeno una delle donne uccise in maggio era moglie di un
pastore protestante. Si può ipotizzare che i rapporti
intergenerazionali e interreligiosi siano chiamati in causa? I
disordini politico-tribali che hanno di recente attraversato il paese
portandolo alla guerra civile, hanno trovato un ultimo sfogo nel
linciaggio? O forse la crisi internazionale dei prezzi dei generi
alimentari, che in Kenya si era manifestata già negli scorsi anni, può
avere giocato un ruolo?
Di solito l’accusa di stregoneria scatta
allorché si manifestano morti improvvise, soprattutto di bambini, e
quando i rapporti intercomunitari si deteriorano. Lo dimostrano molti
studi sulla stregoneria europea e extraeuropea, ed è interessante
notare come la percezione tipica degli occidentali abbia influenzato la
ricezione delle notizie dal Kenya: tre delle vittime sono uomini, ma si
è per lo più parlato di undici donne; e il linciaggio, al quale è
seguito l’incendio delle case delle vittime, con i cadaveri
all’interno, si è trasformato in una condanna al rogo («undici streghe
bruciate vive»), perché tale è il nostro immaginario legato a questo
tema. Utile dunque giunge la traduzione italiana della sintesi di
Wolfgang Berhinger (Le streghe, il Mulino, pp. 132, euro 11), che parte
da una trattazione storico-antropologica in rapporto alla stregoneria
come fenomeno generalizzato, per arrivare a una trattazione della
caccia alle streghe europea d’età moderna.
Molte società conoscono
forme assimilabili al concetto europeo di stregoneria, legate a
pratiche di guarigione ma anche di maleficio: è insita nel concetto di
magia, infatti, una buona dose di ambiguità: coloro che sono in grado
di utilizzare mezzi magici per compiere il bene (curare, ritrovare
oggetti rubati e così via), sono anche capaci di lanciare malefici che
portano alla morte, o alla sterilità della terra, degli animali e degli
esseri umani. Questo insieme di malefici è la base comune a tutte le
credenze in materia di stregoneria, ma ogni contesto socioculturale
conosce innumerevoli varianti. Nel caso europeo (e in parte
nordamericano, frutto di una esportazione) il rapporto con le
persecuzioni antiereticali e il discorso demonologico sono fattori
essenziali. Ma se è opportuno delineare una sintesi generale del
fenomeno stregonico, bisogna ricordare che le differenze sono più
importanti delle similitudini. Su un piano generale si può discutere
sull’assunto dell’etnologo Evans-Pritchard, che nei suoi studi seminali
sulla stregoneria fra gli Azande, condotti negli anni ’30, interpretava
il fenomeno come un elemento equilibratore all’interno della comunità,
notando come oggi si tenda a evidenziarne la presenza in situazioni di
tensione sociale. Quando però ci si volge alla società europea fra ‘400
e ‘700, ci si imbatte in un fenomeno difficilmente riconducibile a
schematizzazioni e il lavoro sulle fonti, dai trattati inquisitoriali
agli atti dei processi, diviene essenziale. Notevole in tal senso è
l’opera compiuta a partire dalla fine degli anni ’80 da un’équipe
dell’università di Losanna, guidata da Agostino Paravicini Bagliani,
che lavora nel Pays de Vaud. La ricerca ha condotto alla pubblicazione,
nei Cahiers lausannois d’histoire médiévale, della totalità degli atti
processuali contenuti nel registro per l’arco cronologico 1438-1528.
Una documentazione di primaria importanza, nella quale si coglie con
chiarezza il legame fra persecuzioni antiereticali e antistregoniche, e
che fotografa la nascita della caccia alle streghe in un’area solo
apparentemente marginale, in realtà centrale per l’elaborazione di idee
intorno alla stregoneria, che di lì a poco influenzeranno ampie zone
d’Europa.
Alla fine del decennio scorso, parte di queste ricerche
era confluita nel volume L’imaginaire du sabbat. Edition critique des
textes les plus ancien (1430c. – 1440 c.), a cura di Martine Ostorero,
Agostino Paravicini Bagliani, Kathrin Utz Tremp (Université de Lausanne
1999), essenziale per comprendere le origini di uno dei temi più noti,
ma al tempo stesso peculiari della stregoneria europea: il sabba. Ora
un’altra opera collettiva, Inquisition et sorcellerie en Suisse
romande. Le registre Ac 29 des Archives cantonales vaudoises
(1438-1528), a cura di Martine Ostorero, Kathrin Utz Tremp, Georg
Modestin (Université de Lausanne 2007) fornisce una sintesi di questa
avventura scientifica, pubblicando gli ultimi cinque processi. Non è
però solo una chiusura rispetto al lavoro compiuto, ma rappresenta
piuttosto l’aprirsi di nuovi orizzonti di ricerca: che da un lato
conducono a approfondire l’analisi sui dati raccolti, per meglio
comprendere le dinamiche sociali coinvolte; dall’altro invitano a
valicare i confini geografici nei quali l’équipe si è mossa,
applicandone i metodi a contesti ancora da esplorare.

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La véritable leçon à tirer de Mai 68, par Slavoj Zizek

LE MONDE | 02.06.08

L’un des plus célèbres graffitis apparus sur les murs de Paris en Mai 68 disait : "Les structures ne défilent pas dans la rue !"
– autrement dit : on ne saurait expliquer les grandes manifestations
étudiantes et ouvrières de 1968, selon les termes du structuralisme,
comme des phénomènes déterminés par les changements structurels de la
société.

Or la réponse de Jacques Lacan a été
d’affirmer que c’est précisément ce qui s’est passé en 1968 : les
structures sont bel et bien descendues dans la rue. Les explosifs
événements visibles étaient au bout du compte le résultat d’un
déséquilibre structurel – le passage d’une forme de domination à une
autre, que Lacan définissait comme le passage du discours du maître à
celui de l’université.

Une vision aussi sceptique n’est pas sans fondement. Comme l’ont souligné Luc Boltanski et Eve Chiapello dans leur livre Le Nouvel Esprit du capitalisme
(Gallimard, 1999), une nouvelle forme de capitalisme a peu à peu émergé
à partir des années 1970 : elle a développé une forme d’organisation en
réseaux fondée sur l’initiative et l’autonomie des employés sur le lieu
de travail. Ce faisant, le capitalisme a détourné la rhétorique
autogestionnaire anticapitaliste d’extrême gauche pour en faire un
slogan capitaliste : le socialisme se vit rejeté comme conservateur,
hiérarchique et administratif. La véritable révolution était celle du
capitalisme numérique…

Ce qui a survécu de la libération
sexuelle des années 1960 est cet hédonisme tolérant qui s’est si bien
intégré à notre idéologie hégémonique : aujourd’hui, la jouissance
sexuelle n’est pas seulement autorisée, elle est quasiment obligatoire
– celui qui ne jouit pas se sent culpabilisé. Cette quête de formes
radicales de plaisir a surgi à un moment politique précis : celui où
"l’esprit de 68" a épuisé ses potentiels politiques. A cet instant
critique (le milieu des années 1970), la seule option qui restait était
une poussée brutale et directe vers le réel, laquelle se manifesta sous
trois formes principales : la recherche de formes extrêmes de plaisir
sexuel ; le virage vers le réel de l’expérience intérieure (le
mysticisme oriental) ; et enfin le terrorisme politique gauchiste (la
Fraction armée rouge en Allemagne et les Brigades rouges en Italie,
etc.).

Les conséquences de ce retrait se font sentir aujourd’hui
encore. Ce qui était frappant lors des émeutes dans les banlieues
françaises de l’automne 2005, où l’on a vu brûler des milliers de
voitures dans une vaste éruption de violence, c’est l’absence totale de
toute perspective utopiste positive chez les émeutiers. Si le cliché
usé selon lequel nous vivons dans une époque post-idéologique a un
sens, il se situe là. Cela nous en dit long sur notre situation
actuelle : dans quel genre de monde vivons-nous, où la seule
alternative possible au consensus démocratique forcé est l’explosion de
violence (auto-) destructrice ?

Souvenons-nous du défi adressé par Lacan aux étudiants contestataires : "En tant que révolutionnaires, vous êtes des hystériques qui réclament un nouveau maître. Vous en aurez un." Et nous l’avons eu, en effet – sous la forme du maître postmoderne "permissif"
dont la domination est d’autant plus forte qu’elle est moins visible.
Si de nombreux changements positifs ont accompagné ce passage, on doit
pourtant se poser la question de fond : toute cette ivresse de liberté
n’aura-t-elle été que le moyen de substituer une nouvelle forme de
domination à l’ancienne ? Si nous considérons notre situation actuelle
avec le regard de l’année 1968, nous ne devons pas oublier le véritable
héritage de cette époque : le coeur de Mai 68 était le rejet du système
libéral-capitaliste, un non adressé au système dans son ensemble.

Il
est facile de se moquer de la notion de fin de l’Histoire développée
par Fukuyama, mais, aujourd’hui, la majorité des gens sont fukuyamistes
: le capitalisme libéral-démocratique est accepté comme la formule
enfin découverte de la meilleure société possible, tout ce que nous
pouvons faire est de le rendre plus juste, plus tolérant, etc.

C’est
pourquoi, une fois encore, la seule véritable question aujourd’hui est
: devons-nous prendre acte de cette acceptation généralisée du système,
ou bien le capitalisme global actuel produit-il en son sein des
contradictions suffisamment puissantes pour empêcher sa reproduction
perpétuelle ?

Ces contradictions sont au moins au nombre de
quatre : la menace d’une catastrophe écologique ; l’inadaptation de la
notion de propriété privée appliquée à ce que l’on appelle la
"propriété intellectuelle" ; les implications socio-éthiques des
nouveaux développements techno-scientifiques (notamment en
biogénétique) ; enfin, et ce n’est pas le moins important, l’apparition
de nouvelles formes d’apartheid, de nouveaux murs et bidonvilles. Le
11-Septembre sonne le glas des heureuses années clintoniennes et
symbolise l’époque qui s’ouvre, dans laquelle de nouveaux murs
surgissent partout, que ce soit entre Israël et la Cisjordanie, autour
de l’Union européenne ou à la frontière entre le Mexique et les
Etats-Unis.

Les trois premières de ces contradictions concernent les domaines que Michael Hardt et Toni Negri appellent les "communs",
la substance partagée de notre être social dont la privatisation est un
acte violent auquel on devrait résister, si nécessaire, par des moyens
violents. Parmi eux, on distingue les communs de nature extérieure,
menacés par la pollution et l’exploitation ; les communs de nature
intérieure ; et les communs de la culture, les formes immédiatement
socialisées de capital "cognitif", au premier rang desquels le langage,
notre principal outil de communication et d’éducation, mais aussi les
infrastructures partagées des transports publics, de l’électricité, de
la poste, etc.

Si on laissait Bill Gates s’assurer une position
de monopole, nous nous retrouverions dans la situation absurde où un
individu particulier posséderait littéralement la texture logicielle de
notre principal réseau de communication. Nous prenons peu à peu
conscience des potentiels destructeurs, pouvant aller jusqu’à
l’auto-annihilation de l’humanité elle-même, qui se déchaîneraient si
on laissait la logique capitaliste s’emparer de ces communs.

Ce
besoin d’établir une organisation et un engagement politiques globaux
capables de neutraliser et de canaliser les mécanismes du marché ne
revient-il pas à adopter une perspective communiste ? La référence aux
"communs" justifie par conséquent la résurrection de la notion de
communisme : elle nous permet de considérer la privatisation
progressive des communs comme un processus de prolétarisation de ceux
qui se trouvent ainsi exclus de leur propre substance.

Mais seule
la contradiction entre inclus et exclus est véritablement à même de
justifier le terme de communisme. A travers différentes sortes de
bidonvilles, nous assistons dans le monde entier à la croissance rapide
de populations échappant à tout contrôle étatique, vivant dans des
conditions de semi-illégalité, et qui manquent de façon criante des
formes minimales d’auto-organisation.

Bien que cette population
soit composée de travailleurs marginalisés, de fonctionnaires licenciés
et d’ex-paysans, ces derniers ne constituent pas pour autant un surplus
inutile : ils sont intégrés par bien des aspects dans l’économie
globale, puisque beaucoup d’entre eux travaillent comme salariés au
noir ou entrepreneurs individuels, privés de toute espèce de couverture
médicale ou sociale adéquate.

Il ne s’agit pas d’un accident
malheureux, mais du résultat inévitable de la logique intime du
capitalisme global. Un habitant des favelas de Rio de Janeiro ou d’un
bidonville de Shanghaï n’est pas différent de l’individu qui vit dans
une banlieue parisienne ou un ghetto de Chicago. La tâche essentielle
du XXIe siècle sera de politiser – en les organisant et en les disciplinant – les "masses déstructurées" des bidonvilles.

Si
nous ignorons ce problème des exclus, toutes les autres contradictions
perdront de leur pertinence subversive. L’écologie se limitera à un
problème de développement durable, la propriété intellectuelle à un
problème juridique complexe, la biogénétique à une question éthique.

Bref,
sans la contradiction entre inclus et exclus, nous pourrions fort bien
nous retrouver dans un monde où Bill Gates bénéficierait de l’image
d’un grand travailleur humanitaire luttant contre la pauvreté et les
maladies, et Rupert Murdoch celle d’un champion de l’environnement
capable de mobiliser des centaines de millions d’individus grâce à son
empire médiatique.

Ce qui nous menace, c’est de nous voir réduits
à des sujets cartésiens abstraits et vides, privés de tout contenu
substantiel, dépossédés de notre substance symbolique, contraints de
subir la manipulation de notre base génétique et de végéter dans un
environnement invivable. Cette triple menace à l’égard de notre être
tout entier fait de nous tous, d’une certaine façon, des prolétaires
potentiels, et la seule façon de nous y opposer est d’agir de façon
préventive.

La véritable utopie est de croire que le système
global actuel peut se reproduire indéfiniment ; la seule façon d’être
vraiment réaliste est d’envisager ce qui, au regard des critères de ce
système, ne peut apparaître autrement qu’impossible.

Traduit de l’anglais par Gilles Berton.

Posted in Generale | Comments Off on La véritable leçon à tirer de Mai 68, par Slavoj Zizek

Sulle dichiarazioni razziste e xenofobe di Manganelli

Manganelli è il braccio violento dello stato. Non pensate male, è
semplicemente il gestore del monopolio statale di forza e violenza. Ora
quello che lui dovrebbe fare, e che sa fare benissimo, è appunto
eseguire gli ordini e manganellare quando glielo ordinano. E dovrebbe
anche preoccuparsi del suo personale segmento delinquenziale ad
intermittenza
ed a tendenza moderatamente fascista che si chiama
polizia.

Invece lui si dedica, durante le sue audizioni, a discorsi utilissimi alla causa della montante marea nera e xenofoba.

NON SI E’ FATTO NULLA – «Viviamo una situazione di indulto quotidiano – dice alle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato – di cui tutti parlano. Ma su cui non si è fatto nulla negli ultimi anni».
La pena, aggiunge Manganelli, «oggi è quando di più incerto esiste in Italia»; un qualcosa che rende «assolutamente inutile» la risposta dello Stato e «vanifica» gli sforzi di polizia e magistratura. «Non gioco a fare il giurista – prosegue il capo della Polizia – nè voglio entrare nelle prerogative del Parlamento, ma quella che abbiamo oggi è una situazione vergognosa».

CRIMINALITA’ E CLANDESTINITA’ – «La criminalità diffusa in Italia ha un segmento di fascia delinquenziale ben identificato che si chiama immigrazione clandestina» ha aggiunto il capo della polizia. «Il 30 per cento degli autori di reato di criminalità diffusa sono immigrati clandestini – ha spiegato ancora Manganelli – ma questa media nazionale del 30 per cento va disaggregata». Così, ha proseguito il capo della polizia, si scopre, che se al Sud i reati commessi da clandestini incidono relativamente poco («i reati compiuti da irregolari si attesta intorno al 30 per cento»), al Nord e in particolare nel Nord est «si toccano picchi del 60-70 per cento». La maggior parte degli immigrati clandestini, sottolinea poi Manganelli, entra in Italia non attraverso gli sbarchi ma con un visto turistico. «Solo il 10 per cento dei clandestini entra nel nostro Paese attraverso gli sbarchi a Lampedusa- dice il capo della polizia- mentre il 65-70 per cento arriva regolarmente e poi si intrattiene irregolarmente». E conclude: «Il 70 per cento di quei crimini commessi nel Nord est da irregolari è compiuta proprio da chi arriva con visto turistico e poi rimane clandestinamente sul nostro territorio». Per contrastare la clandetinità, riflette Manganelli, «occorre quindi non solo il contrasto all’ingresso, ma il controllo della permanenza sul territorio dei clandestini».

CPT – Dal primo gennaio a oggi, «le forze dell’ordine hanno fermato 10.500 immigrati clandestini per i quali è stata avviata la procedura di espulsione: ma solo 2.400 di loro hanno trovato posto nei Centri di permanenza temporanea» ha reso noto Manganelli. «È un dato che io trovo inquietante – ha ammesso Manganelli -, perchè significa che oltre 8 mila clandestini sono stati "perdonati" sul campo essendosi visti consegnare un foglietto su cui c’è scritto "devi andar via", che equivale a niente».
«Noi forze dell’ordine diciamo che l’immigrazione clandestina va contrastata con rigore, ma di fatto rinunciamo già in partenza a qualsiasi possibilità di farlo» ha detto ancora Manganelli. In tutto il 2007 – ha spiegato Manganelli – «gli immigrati clandestini fermati e avviati ad espulsione sono stati 33.897, ma solo 6.366 di loro hanno trovato posto nei Cpt: di fatto, 27 mila sono stati destinatari di un ordine scritto (di allontanamento), naturalmente non accolto nella stragrande maggioranza, se non nella totalità, dei casi».

Che lui possa dire cose del genere e che le dica ora e non due mesi fa
è indicativo della degenerazione violenta e razzista che la vittoria
delle destre ha avviato in Italia così come è anche indicativo dell’aria nuova che si respira da qualche tempo l’articolo 9 del decreto sicurezza che recita:

Art. 9.
Centri di identificazione ed espulsione
1. Le parole: «centro di permanenza temporanea» ovvero: «centro di
permanenza temporanea ed assistenza» sono sostituite, in generale, in
tutte le disposizioni di legge o di regolamento, dalle seguenti:
«centro di identificazione ed espulsione» quale nuova denominazione
delle medesime strutture.

Qualcuno direbbe che almeno, dopo i fatti di Torino, è stato eleminato l’ipocrita riferimento all’assistenza ma tant’è…

Torniamo a Manganelli. Il sillogismo che ci propone è semplice e forse si presta bene ai suoi gusti personali.
La criminalità deve essere repressa con forza e rigore. La
clandestinità è un crimine. Ergo i clandestini sono criminali e devono
essere reppressi con forza e vigore, cacciati o ficcati nelle carceri e
nei cpt, veri campi di concentramento moderni dove la gente muore senza
le più elementari cure mediche, vedi Torino, e dove viene
sistematicamente privata dei più elementari diritti umani (per info sui
cpt il sito di Amnesty è utilissimo). Non che le carceri siano meglio
invece.
Che Manganelli trovi inquietante che 8mila clandestini non siano stati
sbattuti nei vari cpt fa capire come sia solo un brutale esecutore di
ordini e che, come tale, dovrebbe restarsene zitto senza sparlare, senza sventolare dati e senza disaggregarli.
Per quello ci sono i sociologi e i politici, c’è il rapport annuale
istat. Anche perchè i dati sono oggettivi ma il modo di presentarli, lo
sceglierli e il discorso di contorno sono suoi, quindi risultato di una
scelta personale e politica come tutte le scelte personali.

Manganelli, ma si sà, lui è uomo d’azione, si dimentica di dire che è
clandestino ciò che noi decidiamo che clandestino sia. Quando il
decreto flussi 07 ha regolarizzato 170mila persone su 600mila circa si
sono creati per scelta 430mila irregolari e altrettanti italiani datori
di lavoro in nero.
Lasciare irregolare (oggi si dice clandestino e criminale) una persona
che lavora e che chiede il riconoscimento è un crimine perchè relega
quella persona in una zona oscura dominata da ricatti, miseria e paura.
Prendere quelle persone e metterle in un cpt o in un carcere è anche
peggio perchè alimenta non solo la pauperizzazione sociale ed economica
degli interessati ma anche delle loro famiglie.
E spesso rende questo processo irreversibile creando criminali per necessità e per fame.

A meno di non voler sostenere che gli irregolari siano
ontologicamente differenti dagli stranieri che vivono regolarmente in
italia. Una razza a parte di criminali pericolosi e da reprimere.
Insomma a meno di non essere dei responsabili, moderni e moderati
razzisti. Sarebbe interessante capire, senza Manganelli però, come sia
possibile diventare immigrato regolare in italia. Ebbene l’unico modo è
entrare irregolarmente da clandestino e sperare nei vari decreti flussi
pregando nel frattempo di non essere presi dai ragazzi di Manganelli
prima di avere in mano il fatidico foglietto di carta. Inoltre bisogna
anche avere come padrone un buon italiano che non voglia lucrare troppo sul lavoro
altrui ma che invece abbia intenzione di richiedere le regolarizzazioni.
Apro e chiudo una parentesi: ora che essere clandestino è un reato probabilmente il bravo italiano non avrà più il coraggio di dare una mano al migrante perchè avrà paura, poco importa se fondata o meno, di incorrere nel reato di omissione di denuncia (di migrante, cioè un reato fattosi persona). Un modo come un altro per tagliare tutti quei pochi legami che in qualche modo avrebbero potuto aiutare lo straniero ad uscire dal suo stato di irregolare.


Ma torniamo a Manganelli: prima parlavo del suo dare i dati a metà, ora parlerò del suo populismo.
Se si fosse letto il V capitolo del Rapporto Istat riguardante
immigrazione e stabilizzazioni avrebbe scoperto che i 100mila stranieri
denunciati nel 2006 erano al 94% sanza permesso di soggiorno.
Questo significa che gli stranieri regolari hanno un tasso criminogeno
pari a quello degli "indigeni" della penisola. E che gli unici che si
danno al crimine sono gli irregolari.
Tralasciando questo, tralasciando ogni considerazione sul processo e
sulle dinamiche che portano all’irregolarità, Manganelli si dedica al
populismo – il Giornale di domani ringrazierà – proponendo per un
problema complesso e delicato la soluzione più semplice e violenta: il manganello.
Nomen omen.

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