La sconfitta e la tv

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 Piccoa nota: si chiama egemonia e si basa sul capitale. Di seguito l’articolo.

Compagni,
se avessimo guardato un po’ di più la televisione forse l’esito del
voto sarebbe stato un altro. Forse la sinistra a sinistra del Pd non
sarebbe scomparsa dalla faccia della terra, forse qualcuno avrebbe
capito prima la tumultuosa avanzata della Lega. Forse qualcuno avrebbe
capito che le radici profonde del berlusconismo sono finite tra di noi.
Bisogna sporcarsi le mani, diceva Don Di Liegro: e in qualche modo il
concetto si può applicare anche al mondo della televisione. Invece la
sinistra (tutta) ha la curiosa abitudine a dimenticarsi che Re Silvio
nasce, si nutre, cresce e trionfa con la televisione: guardando
industriali truppe di adolescenti vestite, dagli occhiali a sole in
giù, in maniera identica alle ragazze «troniste» dei programmi della De
Filippi, vedendo i cloni del Grande Fratello e i calendari delle
ragazze uscite dall’Isola dei famosi, lo capisci dove è andato il Paese
negli ultimi anni.

Ed è pure emblematico il fatto che la
televisione non sia cambiata di una virgola con il centrosinistra al
governo, incapace di mettere in piedi un progetto alternativo di tv per
gli italiani, che sapesse sposare la popolarità non dico con
l’intelligenza, che è merce rara, ma almeno con la dignità. Dalle sei
del mattino fino a notte inoltrata, il monopensiero televisivo ha
formato un mondo, una mentalità dominante, schiacciante. Da Festa
italiana a Verissimo, passando per Vespa a Cucuzza, senza considerare
Amici e l’incredibile video di «Meno male che Silvio c’è», sorvolando
sui giochetti milionari e il cinismo vallettopolaro di Buona Domenica,
abbiamo avuto un martellamento ininterrotto, durato anni e anni, che è
stato la principale fonte di informazione ed il principale nutrimento
intellettuale di milioni e milioni di italiani.

Si dirà: che
banalità, questa storia degli italiani manipolati dall’imperium
mediatico berlusconiano. Sarà anche una banalità, ma gli effetti si
sono avuti fin su nel salotto di Vespa, dove per altrettanti anni
degnissimi esponenti del centrosinistra (e, bisogna dirlo, in
particolar modo della Sinistra ora finita nel macero) si facevano
trattare come degli scolari messi dietro la lavagna da Bruno Vespa. È
lì che vedi l’effetto del berlusconismo, quando ti rendi conto di
quanto il mondo che noi definiamo «di sinistra» sia stato
culturalmente, oltreché politicamente, succube di questa destra.

Qualcuno ha già rilevato che lo spostamento in area leghista di
un’infinità di voti provenienti dalla sinistra è sintomo dello
smottamento della coscienza civile del paese, dato che
indiscutibilmente l’asse portante del leghismo sono «gli sghéi» e «il
négher», che deve tornarsene a casa sua anche se la casa non ce l’ha:
mettiamo questa immagine accanto a quelle scorse in abbondanza su
Retequattro relative al concorso di Miss Padania, shakeratele subito
dopo con le «meteorine» di Emilio Fede, con le incursioni di Fabrizio
Corona sui luoghi di (vari) delitti, e capite cosa si intende per
smottamento della coscienza civile.

Da parte della sinistra
c’è sempre stata una sottovalutazione drammatica della questione
mediatica. Laddove la destra ha condotto lucidamente e con estrema
determinazione la sua strategia in campo televisivo ed editoriale, la
sinistra è apparsa distratta, confusa, incerta, assente. Quello
berlusconiano è un modello culturale prepotente, pervasivo: va dal
rotocalco alla Chi, vero house-organ del berlusconismo e della cultura
dell’a-legalità, fino ai talk show politici, dalla curiosa logica dei
telegiornali che per malinteso senso dell’istituzionalità sorvolano
sugli aspetti più eclatanti dell’azione di Re Silvio, fino alla fatua
assurdità delle trasmissioni pomeridiane di gossip, che sposano
l’abiezione della cronaca con l’abito da sposa della velina tal de’
tali che si fa impalmare dal calciatore tal de’ tal’altro.

Visioni da incubo: vai nelle enclave operaie del nord e del sud, vai
nelle borgate, trovi milioni di ragazzini che sembrano usciti dallo
stampino delle televisioni Mediaset. Vai nei paesi di provincia e vedi
la pancia dell’italianità sprofondata nella religiosità spettacolare e
postmoderna che unisce le stimmate di Padre Pio alle trasmissioni in
tema miracolistico di Bruno Vespa. Vai nei supermercati e vedi le mamme
che inveiscono contro i prezzi («colpa dell’euro!») e che ti paiono
uscite dal pubblico di Forum, vai nelle periferie e vedi la paura degli
immigrati e ti ricordi che in tv le uniche straniere sono Aida Yespica
e Fernanda Lessa, vedi i salari sprofondati negli abissi e ti ritrovi
bombardato dalle televendite di Mediashopping… E poi ti chiedi:
dov’era la sinistra in questi anni?

rbrunelli@unita.it

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