Ici e federalismo: uno dei due è di troppo.

LO STRANO CASO DEI FEDERALISTI ANTI-ICI

di
Pietro Reichlin

22.04.2008 (http://www.lavoce.info/articoli/pagina1000377.html)

L’Ici
garantisce quasi il 60 per cento delle entrate tributarie dei comuni.
Eppure, il nuovo governo si accinge ad azzerarla, almeno sulla prima
casa. Certo, trasferire il carico fiscale dalla proprietà alle attività
produttive può procurare un vantaggio elettorale, ma rivela una
notevole dose di miopia, dei governi e degli stessi elettori.
L’abolizione dell’imposta è contraria ai principi di base del
federalismo, renderà i comuni meno virtuosi, avvantaggia soprattutto i
contribuenti più ricchi e sarà un ulteriore freno alla modernizzazione
del paese.

Si
può essere dei veri federalisti, come proclamano i politici della Lega
e il prossimo governo Berlusconi, e proporre l’azzeramento dell’Ici sulla prima casa?
L’imposta
garantisce quasi il 60 per cento delle entrate tributarie dei comuni.
La sua abolizione, anche se compensata da un corrispondente
trasferimento dallo Stato, limita notevolmente l’autonomia fiscale
dei governi locali ed espone i cittadini al rischio concreto di dover
pagare nuove tasse nel futuro. Il disavanzo pubblico non può essere
ulteriormente aumentato e i trasferimenti necessari a compensare
l’abolizione dell’Ici potranno essere coperti solo da un aumento di
qualche atro carico tributario o dalla riduzione di qualche servizio.
Come diceva Milton Friedman, non esistono “pranzi gratis”.

L’IMPOSTA PIÙ IMPORTANTE PER I COMUNI

Anche
se volessimo credere che i pranzi gratis esistano veramente, ci sono
altre considerazioni di cui un vero federalista dovrebbe tenere conto.
In primo luogo, la proposta potrebbe incentivare i comuni ad aumentare le imposte locali
pochi giorni dopo l’azzeramento forzoso dell’Ici. Se i partiti che
governano un comune sono riusciti a vincere le elezioni quando gli
elettori pagavano l’imposta, gli stessi partiti penseranno che, dopo
l’abolizione dell’Ici, gli stessi elettori saranno disposti ad
accettare l’aumento di qualche altro tributo. Di conseguenza, la
pressione fiscale complessiva potrebbe aumentare.
Uno dei capisaldi del liberalismo
è che i governi possano procurarsi risorse pubbliche solo mediante la
tassazione del reddito o della proprietà di cittadini-elettori. In
democrazia vince il partito politico che, a parità dei servizi offerti,
riesce a tassare di meno. Si tratta di un importante principio di
responsabilità ed efficienza. Ma se il livello di tassazione è
sottratto alla responsabilità dei governi, questo principio viene meno.
I governi possono spendere di più, e in modo ingiustificato, perché i
costi di queste spese ricadono su un’entità esterna (il governo
federale).
La proposta di Silvio Berlusconi di abolire l’Ici è un
classico esempio di cattivo federalismo. L’Ici è la tassa più
importante per i comuni. Senza l’Ici, i costi della cattiva politica locale sono trasferiti al governo nazionale.

PERCHÉ TASSARE GLI IMMOBILI

Forse
Berlusconi vuole abolire l’Ici perché ritiene ingiusta o inefficiente
la tassazione degli immobili? Che sia inefficiente tassare gli immobili
è contrario alla più elementare logica economica. Se tassi il lavoro o
le attività finanziarie, la gente lavora di meno e investe all’estero.
Se tassi gli immobili (ai livelli attualmente vigenti in Italia) gli
effetti negativi sull’offerta sono nettamente inferiori: una modesta
riduzione degli investimenti immobiliari e qualche cittadino che
trasferisce la residenza in un altro paese. In tutte le nazioni
sviluppate esistono tasse sui patrimoni, oltre che
sul lavoro e sui consumi. In Italia la pressione sui patrimoni è tra le
più basse tra i paesi Ocse: preferiamo tassare il lavoro e i profitti
d’impresa. Dovremmo fare il contrario: nel nostro paese lavorano troppe
poche persone e le imprese sono troppo piccole. Negli Stati Uniti,
la tassa sugli immobili serve ai governi locali per finanziare scuole,
infrastrutture e programmi sociali. Uno dei motivi principali per
delegare alle giurisdizioni locali la tassazione della casa, è proprio
il fatto che questo bene è meno mobile di qualsiasi altra forma di
ricchezza. Un’altra ragione per cui l’abolizione dell’Ici dovrebbe
suscitare l’opposizione di chi crede nel federalismo.
Va poi
ricordato che la Finanziaria del 2006 ha trasferito la gestione del
catasto ai comuni. La misura è evidentemente ispirata a una logica di
decentramento, con l’obiettivo di migliorare i servizi ai cittadini e
la qualità dei dati catastali. È vero che la Finanziaria 2007 ha
ridimensionato le competenze sull’aggiornamento degli estimi, lasciando
ai comuni soltanto un ruolo di collaborazione e riportando questa
funzione in capo allo Stato: ma quale incentivo avranno comunque a
svolgerla se la prima casa non sarà più tassata?
Berlusconi è un
politico abile. Ha capito che l’Ici è la tassa più odiata dagli
italiani. Non perché sia troppo elevata. L’ultimo governo Prodi ne
aveva già ridotto l’importo oltre il necessario. Forse perché l’80 per
cento degli elettori possiede una casa e solo il 60 per cento degli
italiani in età lavorativa svolge un’occupazione?
Trasferire il carico fiscale dalla proprietà alle attività produttive può procurare un vantaggio elettorale,
ma rivela una notevole dose di miopia, dei governi e degli stessi
elettori. L’abolizione dell’Ici è contraria ai principi di base del
federalismo, renderà i comuni meno virtuosi, avvantaggerà soprattutto i
contribuenti più ricchi e sarà un ulteriore freno alla modernizzazione
del paese.

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