Il Manifesto e Liberazione rispondono a Ferrara

Dopo il mio pensierino su Ferrara e la tolleranza riporto qui tre articoli che spiegano meglio come e perchè ad essere violento non è chi ha contestato, contesta e contesterà Ferrara…

A Bologna libertà violata
ma non dalla frittata antiFerrara
  (da www.liberazione.it del 04/04/2008)

Gaia Maqui Giuliani
Una violenza simbolica e discorsiva che poi diviene violenza reale, con conseguenze pesanti sulla vita delle persone, quando, all’occasione, l’obiettore di coscienza rende impossibile il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza o l’assunzione dell’RU486, o quando l’amministrazione locale non apre o dismette i consultori territoriali, lasciando le donne da sole.
Violenza intesa come impossibilità a scegliere, come negazione dell’ultima scialuppa di salvataggio a chi, malcapitata, non ha potuto o non è riuscita a tutelarsi da una gravidanza indesiderata o capisce di non essere abbastanza forte da mettere al mondo una creatura con problemi fisici e mentali.
Questa violenza, che disciplina corpi e pensieri, che mortifica e colpevolizza chi sceglie di non diventare madre buttandole addosso l’accusa di "omicidio" e paragonando la sua azione alla pena di morte è stata accolta, ieri in Piazza Maggiore a Bologna, da una "violenza" caotica ma compatta, fatta di urla, mani alzate con indici e pollici a forma di vagina, e lancio di pomodori e uova. Una "violenza" tumultuosa, sgangherata talvolta, fatta di disorganizzazione e spontaneità. E, se anche c’era stato un progetto di contestazione, rimbalzato nelle liste on-line e in un’assemblea che aveva chiamato a raccolta spazi sociali autogestiti e alcuni gruppi di donne, le transenne che circondavano la piazza – innalzate come se si trattasse di bloccare l’assalto dei lebbrosi al palazzo di cristallo – rendevano quello stesso progetto tutt’altro che ben organizzato.
La Rete delle donne di Bologna, e tutti i collettivi e le realtà femministe e lesbiche che ad essa fanno riferimento, non aveva ritenuto giusto dare al duetto antiabortista alcuna possibilità di accrescere, mediante la contestazione, una visibilità che altrimenti si sarebbe concretizzata in quattro anziani, i classici quattro astanti che chiacchierano di politica di fronte alla basilica di San Petronio. E avevano visto giusto: lasciar rimbombare nel vuoto di una piazza deserta quelle frasi intimidatorie rivestite da retorica salva-vita sarebbe stato forse lo smacco più grande. Piuttosto, la Rete, che lo scorso 8 marzo aveva portato in piazza quattromila persone, avrebbe desiderato costruire, con alcuni dei soggetti presenti alla contestazione, un percorso di lotta duraturo e condiviso e non un’azione schiacciata sull’evento della presenza del duetto a Bologna. Ma molti non hanno resistito e sono andati comunque a contestare o solo a dare un’occhiata. Erano soprattutto uomini, e uomini eterosessuali, e tra le donne, la maggior parte erano ragazze molto giovani. A quella "violenza" caotica ha risposto una violenza che faceva e fa il paio, perfettamente, con la violenza epistemica del discorso antiabortista: quella dei poliziotti sotto il palco e dei carabinieri nella adiacente Piazza del Nettuno. I primi, così come i secondi, hanno caricato a freddo, una, due, tre volte, colpendo chi, armato di pomodori e bottigliette d’acqua, come le ragazze-mignon in prima fila sotto al palco, si è accasciato sotto i colpi dei manganelli dei poliziotti-armadio.
In tal senso la libertà di espressione non è stata violata nel senso descritto da Miriam Mafai sulle colonne del quotidiano La Repubblica : alla presenza del duetto antiabortista, è corrisposta infatti una contestazione non solo prevista, ma voluta dagli stessi organizzatori del comizio. Basti dire che l’ufficio stampa di "Aborto? No, grazie" aveva mandato una email nella lista della Rete delle donne di Bologna, perché voleva, pretendeva, che vi fosse contestazione. Per questo alcuni gruppi femministi avevano deciso di fare altro, come ripetere l’azione "Adotta un consultorio" e affiggere, la notte prima, sui muri della città delle vignette con "pensierini" in difesa dell’autodeterminazione delle donne. Piuttosto quella stessa libertà è stata "ripartita in modo diseguale": picchiare persone con il manganello rovesciato in risposta ad una frittata fatta di urla, uova e pomodori dovrebbe far riflettere sulle modalità d’accesso (differenziato) alla libera espressione e sul livello di esasperazione che aleggia nel Belpaese e che è diretta conseguenza della (considerata lecita) violenza simbolica del continuo attacco alle conquiste delle donne.

L’ortaggio a Giuliano Ferrara (da www.ilmanifesto.it del 04/04/08)
Marco Bascetta
Il lancio di verdure dal loggione non segnò la fine del teatro. Il lancio di verdure su un palco elettorale non segnerà la fine della democrazia. Si tranquillizzi Miriam Mafai. L’ insegnamento che lei e il suo giornale quotidianamente ci impartiscono si ispira alla più classica predica che ogni arcigna istitutrice impartisce ai suoi educandi: «Se da bambino rubi la marmellata, da grande sarai un delinquente». Ma le ragazze e i ragazzi che a Bologna hanno contestato Giuliano Ferrara non sono bambini e più che rubare rischiano di essere derubati, di diritti e di libertà. Scomodare poi il povero Voltaire, in un paese che farnetica di «tolleranza zero», è quanto di più sfacciato si possa immaginare. E, del resto, ai tempi di Voltaire non c’erano i monopoli radiotelevisivi né i grandi gruppi editoriali. Che esista una simmetria, una «pari opportunità» tra le diverse voci, tra i diversi soggetti dell’agire politico e sociale, è una vergognosa finzione. Risponda la democratica editorialista con un po’ di onestà: se si fosse organizzata in un centro sociale un’assemblea contro Ferrara, anche tre volte più folta dello sparuto gruppetto che lo applaude, quante righe avrebbe dedicato la Repubblica all’evento? Continuare ad agitare lo spettro della violenza, che si tratti di fischi, scritte murali, lancio di ortaggi o di mendicanti e lavavetri, finirà coll’essere, oltre che una scemenza, un’istigazione. Se occupare un edificio o entrare in un cinema senza pagare può significare a Bologna un’accusa di insurrezione contro lo stato, non è forse, questo, un invito a fare almeno sul serio? Il ceto politico e la grande stampa hanno perso il senso delle proporzioni. Per chi ha potere e chi non ne ha non vige lo stesso galateo. Chi dispone di tutti gli amplificatori per accusare decine di migliaia di donne di omicidio può ben incassare qualche pomodoro in piazza.

 

L’uovo democratico
Mariuccia Ciotta (da il Manifesto, 5 aprile 08)
Un mondo migliore iniziò nel febbraio 1968 quando
un gruppo di «dreamers», come li chiamerà Bernardo Bertolucci,
manifestarono davanti alla Cinémathèque di Parigi. Volarono
sampietrini. Un manifesto poi l’immortalò con la scritta «La bellezza
scende in piazza», riprodotto in decine di libri che celebrano in
questi giorni i 40 anni del maggio francese. I contestatori si
chiamavano, tra gli altri, Jean-Luc Godard e François Truffaut,
protestavano contro il governo De Gaulle che aveva rimosso il fondatore
della cineteca, il «dispensatore generoso di poesia e meraviglie» Henri
Langlois.
Era stata tolta, allora, la parola al potere, ai più
forti, e restituita ai «sognatori» senza palcoscenico, senza
televisioni, che difendevano il diritto ad alzare la voce contro la
violenza delle gendarmie politiche e mediatiche. Dietro la levata di
scudi in difesa di Giuliano Ferrrara, che in questi giorni copre
l’intero «arco parlamentare» (con qualche significativa eccezione), c’è
la criminalizzazione del dissenso politico, che in più articoli di
commento è attribuito a quella stagione politica, sorgente degli «anni
di piombo», testualmente evocati in merito ai lanciatori di uova e di
ortaggi di Bologna.
In controluce l’inchiostro versato sulle pagine
dei giornali visualizza un corpo insorgente creduto morto, una massa
selvaggia «malata di ideologia», che pretende il «diritto
all’intolleranza», una feccia risorta dall’aldilà, estranea alla
democrazia. Residui di una «certa sinistra», nel migliore dei casi. Ai
duemila contestatori viene negato infatti un «luogo» mentale e
politico, sono solo appartenenti a «centri sociali», covi non
identificabili, indicibili. Mentre, evidentemente erano riconoscibili
come militanti della sinistra di base, appartenenti a collettivi
femministi e alla sinistra arcobaleno, in aperto contrasto con i
vertici.
La maggioranza dei difensori di Ferrara non ne condivide
affatto le idee, rifiuta di definire l’interruzione di gravidanza un
omicidio, e potrebbe senza fatica schierarsi con i suoi avversari.
Dunque perché tanto scandalo di fronte a una piazza che lancia pomodori
secondo la tradizione del loggione in faccia al tenore stonato? Con un
capovolgimento di senso, si attribuisce ai contestatori un atto di
lesione della democrazia, e anche le più altre cariche istituzionali si
sentono chiamate alla solidarietà, perché «tutti hanno diritto di
parlare» senza essere interrotti. È vero il contrario, una democrazia
non esiste senza il diritto alla protesta, senza che il senatore di
turno veda incrinato il flusso della sua arringa contro la libera
scelta delle persone. E questa unanimità mette i brividi, altro che i
lanciatori di cavoli, perché converge, tutta, verso la censura di ogni
forma di estraneità al pensiero unico, all’interpretazione banale della
democrazia, dove il dissidente è espulso ed etichettato come
terrorista. È questa la prova dell’asfissia della politica, che ci
mostra in queste ore la crisi della rappresentanza in una campagna
elettorale soporifera, bipartisan. Ieri erano i fischi contro
sindacalisti e deputati, oggi l’uovo che Ferrara ha stampato
trionfalmente sulla testata del suo giornale. Non gli «stupidi»
manifestanti, come qualcuno ha scritto, hanno dato visibilità al
crociato – una volta «cattivista» in guerra di civiltà e ora vittima
buonista – ma il coro dei feroci moderati, uniti nella casta che
giudica chi ha il permesso di entrare nel loro salotto.

This entry was posted in politica. Bookmark the permalink.