Monica Di Sisto
E’ un po’ come una "seconda pelle" ma può anche trasformarsi in una tra
le più insidiose trappole per la nostra salute. Parliamo
dell’abbigliamento intimo: magliette, canotte, slip e vezzosità varie
che nascondiamo (o meno) sotto gli abiti per proteggerci, scaldarci o
tenerci più freschi. Oggi i loro tessuti contengono molte componenti
sintetiche che rendono più elastiche anche fibre di cotone molto
economiche, più convenienti ma di per sé più rigide. Esse, però, fanno
perdere a questi capi la capacità di far respirare bene la pelle e ci
possono imprigionare in una sorta di sauna permanente. Se anche ci si
volesse affidare al caro, vecchio cotone, bisogna stare con gli occhi
ben aperti perché l’etichetta "100% cotone" molte volte è stata
sbugiardata dai test di laboratorio condotti dalle associazioni dei
consumatori.
Non basta: sulle piante di cotone, che occupano circa
il 2,5% della superficie agricola mondiale, viene scaricato il 25% del
totale degli insetticidi utilizzati al mondo e 11% di tutti i
pesticidi. C’è di più: su ogni chilo di tessuto bianco sono stati
applicati ben più di un chilo tra acidi, enzimi, sbiancanti e
coloranti. Dopo tutte le fasi di lavorazione del cotone, dal campo
all’armadio, anche sugli indumenti più sensibili potrebbero essere
rimaste, a sorpresa, sostanze pericolose come formaldeide, residui di
metalli pesanti quali cromo, rame, cobalto, nichel, argento di
mercurio, ma anche pesticidi e pentaclorofenol.
Pochi immaginano, in
effetti, che l’impiego di sostanze chimiche nei processi di lavorazione
dei prodotti tessili determini effetti negativi non soltanto sulla
salute dei lavoratori del settore, che sono tra i più sfruttati e più a
rischio di intossicazione, ma anche su chi li indossa. Le Dermatiti
Allergiche da Contatto, infatti, sono in costante aumento anche nel
nostro Paese e la maggior parte dei casi è da attribuire proprio ai
coloranti utilizzati per tingere le fibre tessili.
Per salvare la
pelle è molto importante affidarsi a fibre davvero naturali, in
particolare per l’intimo, che possano contare su una coltivazione della
fibra bio ed una lavorazione che non coinvolga agenti così tanto
aggressivi. Tra le pioniere di questo settore c’è una piccola azienda
di Roma, Bio on Body, la cui linea di biancheria, pur non rinunciando a
lampi di colori e sexy baby doll in jersey, è stata addirittura
certificata dall’Associazione italiana per il biologico (Aiab) e si
trova in molti bio-shop. Chi vuole comunque trovare un’alternativa al
cotone, può provare i capi notte e intimo in morbido jersey "Ali di
Canapa", sviluppati dall’azienda italiana Ali Organic Wear e sempre
certificati da Aiab. Nella Pianura Padana la canapa è stata coltivata
per la fibra tessile fin dall’epoca romana: per sua natura, infatti, è
poco soggetta agli attacchi degli infestanti e cresce anche in terreni
non particolarmente fertili, motivo per cui ha un’ottima resa anche se
coltivata senza supporti chimici
(www.aiab.it/nuovosito/campo/marchi/tessile/aziende.shtml).
Per
chi, però, vuole fare anche la sua parte per promuovere i diritti di
chi lavora, ci sono alcune proposte interessanti nel panorama equo e
solidale. Ctm Altromercato, ad esempio, ha creato Birbanda: una linea
di intimo e abitini per bambini confezionati con cotone nativo
originario del Perù che ha la caratteristica, oltre ad essere coltivato
con i criteri del bio, di nascere già colorato sulla pianta in delicate
varietà di panna, beige, marrone, caffè e malva
(www.altromercato.it/it/prodotti/MODA).
Grazie ad una
collaborazione tra l’organizzazione equosolidale Fair, infine, è nato
il progetto di auto-impresa "Made in No": una linea di intimo e di capi
di base in cotone biologico e "Made in Dignity" co-realizzata da
piccoli artigiani tessili di Novara e dalla rete di produttori
brasiliani Justa Trama, che dice "no" allo sfruttamento del subappalto
e al ricatto delle delocalizzazioni nel Sud del mondo come a casa
nostra (www.made-in-no.com). Per vestire più sano ma anche un po’ più
giusto.
27/04/2008
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